L’Egitto non esiste. No, non come il Molise, che è un frammento dei perduti Abruzzi lungo la strada transumante per la Puglia, e che quindi non esiste davvero. L’Egitto non esiste, perché non è un luogo, non è un posto. È una dimensione dell’anima. Non tornavo al Cairo da 27 anni. È cambiata, ma neanche poi tantissimo e, a voler dire tutta, non in meglio. Perché insegue una modernità che non le appartiene, fatta di grattacieli vetrati e cementi invadenti: ha ragione Assan, la nostra guida «Se togliessimo le scritte in arabo, potrebbe essere lo skyline di un quartiere di Londra, o Pechino, o Singapore, o Tokyo, o New York…». È vero, o quasi. Perché qui, al Cairo, c’è un dettaglio irripetibile, che nessuno skyline londinese, pechinese, singaporiano, tokyano o newyorchese avrà mai, e che è esattamente il midollo di quell’anima che ridefinisce il Cairo come dimensione propria. Il Nilo. Non è un fiume, inutile provare a inquadrarlo in un dettaglio geografico o, peggio, cercarne i punti dolenti, tipo l’inquinamento etc etc. Il Nilo, non è un fiume. Il Nilo, è uno dei padri della storia. Di tutte le storie, anche della nostra. È l’acqua di questo fiume, che ha innaffiato un deserto di sabbie aride e ha fatto fiorire una delle più grandi, per certi versi irripetiblle, civiltà della storia. Così grande, nelle opere, certo, ma anche nelle visioni, dall’essere riuscita a costruirsi una lettura del cosmo per giustificare la quale noi, tremila anni dopo, ci appelliamo ai visitatori extraterrestri. A proposito, in una delle ultime puntate di Enigmi Alieni, una trasmissione che si propone di rivelarci segreti “che vogliono tenerci nascosti”, e che io considero più cabarettistica di Zelig, uno “scienziato” ha rivelato che le piramidi non le hanno costruite gli egiziani, ma una civiltà venuta da non ricordo quale pianeta e che, attenzione, le ha portate montate da quel pianeta. Cercherò di ricordarmene stamattina, quando passeggerò nella piana di Giza. Il Nilo, dicevo. Lo guardo dalla finestra dell’hotel e si accavallano, confusi ma meravigliosi, ricordi bambini e liceali, che si mischiano all’Egitto faraonico di Hollywood e all’emozione che provai, nella mia prima volta in questa terra, quando la guida mi spiegò quanto i geroglifici infiniti della Valle dei Re, fossero figli della devozione e non della schiavitù. Fu un cambio di prospettiva decisivo, perché fino a quel momento avevo letto da “europeo” una storia che europea non è. Basta, per oggi mi fermo qui, il Nilo si sta svegliando, i 20 milioni di abitanti del Cairo, tra un po’ diventeranno 25, perché ogni giorno c’è un popolo di pendolari che arriva in città. Una città, e questo non è cambiato rispetto alla mia prima volta, conserva contrasti di ceto e di classe enormi e insanabili, con una povertà evidente anche solo guardando dal finestrino dal pullman che dal “Cairo international” ci portava al Marriott. Dai miliardari di Heliopolis (il quartiere in) ai poverissimi che si affollano intorno al mercato di Khan el Khalili, nel giro di tre curve. I faraoni, in fondo, non se ne sono mai andati. E il Nilo lo sa.
ADAMES

