Il Grand Egyptian Museum è immenso. Come il Louvre. È bellissimo. Come il Louvre. Ospita migliaia di opere d’arte. Come il Louvre. È in una posizione geografica unica al Mondo. Come il Louvre. È, nella sua categoria, il più grande del Mondo. Come il Louvre. È, anche nella struttura, un’opera d’arte. Come il Louvre.
Ed è inutlle. Come il Louvre.
Perché, come il Louvre, sembra costruito solo intorno ad un’unica opera e per un’unica opera. Le platee del turismo ai tempi dei social, sanno benissimo che, per un post su instagram, o un trend di Tik Tok non servono a niente la Venere di Milo o la statua colossale di Ramses II, né la Nike di Samotracia o la barca solare di Cheope, tantomeno La Libertà che guida il popolo di Delacroix e il Canone di Saqqara.
Su social funzionano solo due opere: la Gioconda e la maschera d’oro di Tutankhamon.
Del resto del “GEM”, delle altre novantanovemila novecento novantanove opere del nuovo Museo Egizio, in fondo chissenefrega: mica i selfieturisti vengono a Giza per farsi un selfie davanti allo sguardo infinito di Akhenaton, il faraone che riscrisse il pantheon egizio e introdusse il culto di un solo dio, né si fanno qualche chilometrata tra le sale, per vedere tutte quelle statue di personaggi vissuti troppi anni fa, o qualche migliaio di frammenti di pietra scolpita a geroglifici.
No, sono venuti fino a qui, solo per farsi un selfie davanti alla maschera del più famoso faraone della storia, che poi è famoso solo per la “nostra” storia, visto che la sua da faraone non ha neanche avuto il tempo di scriverla, essendo morto a diciannove anni, dopo aver regnato solo per dieci.
Il faraone bambino è famoso solo perché la sua tomba è stata trovata intatta, ancora col sigillo dell’epoca e un corredo funerario che, per la prima volta, è tutto esposto, proprio al nuovo “GEM”, in due immense sale, che offrono la possibiltà di rivivere l’emozione che provò Howard Carter, ma alla gente non interessa, passa e guarda, con l’occhio che accenna ad un interesse di circostanza, un arco o un cocchio dorato, ciabatte infradito di oro massiccio e meravigliosi sarcofaghi, perché l’unica cosa che conta davvero, è un selfie con “Tut”.
Gli egiziani lo sanno, e infatti alla maschera d’oro hanno dedicato una sala a parte, con un’illuminazione suggestiva e un percorso obbligato “salvafila”, tipo quello degli aeroporti, solo per arrivare al selfie (foto sotto).
I francesi, dal canto loro, hanno deciso di copiare gli egiziani e vogliono trasferire la Gioconda in uno spazio dedicato, in una sala tutta sua. A differenza degli egiziani, però, i francesi - che non l'hanno ancora creata la sala dedicata, hanno deciso di fare un passo in più, stabilendo il pagamento di un biglietto per la sola Gioconda.
Tra Tutankhamon che ha una sua sala, ma non un suo biglietto dedicato e la Gioconda, che avrà un biglietto, ma non ha ancora una sala, c’è un solo luogo al Mondo dove le due cose avvengono.
Un solo posto nel quale si è intuito che basta anche una sola opera per costuire un "evento" e raccontarsi di essere stati al centro della cultura universale: il Comune di Teramo.
A Teramo, il progetto "una opera - un biglietto - un evento - mille selfie", trova la sua più riuscita realizzazione: Caravaggio.
Quella che il Comune chiama “mostra”, anche se è l’esposizione di un solo quadro di Michelangelo Merisi (all'inizio avevano detto due, ma poi gli abbiamo fatto notare che il secondo era solo una copia "attribuita"). Quella "mostra" per la quale il Comune spenderà 160mila euro. Quella "mostra" per la quale si pagherà un biglietto che, mi pare, costerà dieci euro. Dieci euro per vedere un solo Caravaggio. Uno solo. A Roma, a Palazzo Barberini, con diciotto euro te ne facevano vedere 24.
Ma Teramo non guarda Roma.
Teramo guarda al Louvre e al Gem, alla Gioconda e a Tutankhamon.
In fondo, anche la gianguideria ha un che di faraonico.
Le spese per gli eventi
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