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biblia.jpeg«Nel dubbio, vai in biblioteca», dice Ron ad Harry Potter, ironizzando sulla passione di Hermione per i libri.
Ho sempre amato le biblioteche.
E i libri. L’essere un boomer mi facilita, sono cresciuto tra e con i libri, ho bisogno del contatto e dell’odore della carta. Nessun e-book potrà mai sostituirli. Arrivare qui, davanti alla porta della Biblioteca di Alessandria, per mke non è solo la tappa del viaggio organizzato, come sempre magistralmente da Giovanna Fumo di Ats, ma è un appuntamento dell’anima. È il mio personale “stargate” spazio - temporale. Da fuori, l’edificio è un ventaglio di vetro e granito grigio di Assuan (la pietra dei faraoni), non ha finestre e offre, invece, incise le lettere di tutti gli alfabeti del mondo, incluse le pitture rupestri e i geroglifici, avvitate in una spirale che sembra sciogliersi verso l’orizzonte del Mediterraneo. Ma basta oltrepassare l’ingresso perché l’aria cambi: qualcosa vibra, come un respiro antico. La luce è ovunque. Cade dall’alto come un invito, scivola sulle superfici curve, accarezza i libri esposti in un silenzio che non è vuoto, ma denso.
Perché qui il silenzio ha un suono particolare, una nota lunga che rimanda a ciò che è stato perduto e a ciò che non smetteremo mai di cercare. Lascio che lo sguardo si perda tra gli scaffali sospesi e le sale che si aprono come petali.
Non c’è persona che abbia aperto almeno un libro in vita sua, che non abbia sognato almeno una volta di essere qui.
Ogni passo è un richiamo all’antica Biblioteca bruciata, al suo mito: un centro del mondo dove si tentò l’impossibile, custodire tutto il sapere umano. Oggi questa nuova Alessandria non pretende di contenere l’infinito, ma sembra volerlo evocare. Le sue architetture curve, la trasparenza, il dialogo continuo tra luce e ombra: tutto parla di una rinascita, di una memoria che non vuole spegnersi. In una delle sale principali vedo un gruppo di studenti chini sui tablet e sui libri. La scena è quotidiana, quasi banale, eppure nella quiete condivisa emerge qualcosa di sacro. Qui la modernità non cancella il passato: lo prolunga.
Ogni gesto — sottolineare una riga, cercare una parola, alzare gli occhi per un attimo e ascoltare il silenzio — sembra un omaggio involontario a chi, duemila anni fa, sfogliava manoscritti e studiava pergamene sulle rive dello stesso mare. Fuori, la luce del tardo mattino dissolve i contorni della città. Che è caotica, rumorosa, sporca e trasandata, come tutte le città egiziane, ma conserva, almeno nell’immaginario mio di liceale boomer, il fascino della città fondata dal “Megalexandros”. Dentro, invece, tutto è futuro: libri, piattaforme digitali, giovani ricercatori, visitatori curiosi. È come assistere all’incontro tra due epoche che non si escludono, ma si intuiscono l’un l’altra.
E per un attimo, tutto sembra perfetto.

“Mi sono sempre immaginato il paradiso come una specie di biblioteca.” (Jorge Luis Borges)
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