Azione continua imperterrita nella sua opera instancabile di… comunicazione. Sì, perché mentre altri partiti si affannano con problemi minori come governare, fare opposizione concreta o, Dio non voglia, prendere voti, il partito di Giuliocesare Sottanelli ha capito tutto: basta parlare. Tanto. Tantissimo. Sempre. Ovunque. Pure al bar, pure su X (che una volta si chiamava Twitter, come i fasti del bipolarismo), pure in sogno se serve. Con dieci eletti in tutto il Parlamento – cioè lo stesso numero di partecipanti medi a un torneo amatoriale di burraco sotto l’ombrellone – Azione riesce a comportarsi come se dovesse decidere le sorti della nazione. Senza di noi non si fa nulla, ripetono in cuor loro, mentre attorno a loro si fa praticamente tutto senza nemmeno ricordarsi che esistono. Carlo Calenda, leader indiscusso e testimonial ufficiale di quel misto perfetto tra spreadsheet e boria, continua a tuonare in TV e sui social: “Noi siamo la forza moderata, seria, competente, l’unica in grado di guidare il Paese fuori dalle secche dell’estremismo”. Peccato che fuori dalle secche ci sia solo una zattera con sopra dieci tizi e una bandiera di Azione, mentre il resto della politica viaggia su transatlantici che, pur imbarcando acqua, almeno stanno a galla. Ma attenzione, il vero punto di forza di Azione non è la rappresentanza, né il consenso popolare. È il tono da salotto buono, quell’aria da “noi sappiamo, voi no”, che riesce a trasformare ogni comunicato in una mini-lezione di moralismo tecnocratico. Ogni proposta è “seria”, ogni critica è “superficiale”, ogni sondaggio negativo è “poco attendibile”. L’alleanza con Italia Viva? Un successo. Talmente tanto che si sono lasciati con la stessa armonia di una coppia in crisi al pranzo di Natale. “Visioni diverse”, hanno detto. Tradotto: “Non ci sopportiamo più”. Ma niente paura, il progetto riformista va avanti. Dove, non si sa. Il partito di Sottanelli parla come se fosse il nuovo De Gasperi, ma ha i numeri di un circolo bocciofilo. Chiede spazio, pretende centralità, reclama “pari dignità nei talk show”, dimenticando che la dignità non si misura in minuti a "Porta a Porta", ma in voti. E lì, come dire, siamo nella fase “prototipo”.