Giacobbo parla di potature e soprattutto del suo magico attrezzo che ha potato alberi di ogni genere, e funziona benissimo, anche se si è un po’ “’ngarrate” per il troppo uso, ma lui ha la magica “cutecàlle” con la quale gli rifà il filo. Si ripromette di rifargli “‘na màneca nòve”, lo farà appena si incontrerà con una “ramàtte bbone de live”. Il manico vecchio gli ha fatto “’nu callàtte” alla mano e lui fatica ad usarlo, perché la sua forza “s’à ddebblìte”, ma la sua fatica dipende davvero dal troppo uso, da tanto tempo gli rifà “li dinte ‘nghe lu triangulìcce”, la lama da quattro dita si è ridotta a due e “se ‘ngarre”. Giacobbo chiede al suo amico immaginario, con il quale intrattiene il suo monologo-dialogo, dove è stato a potare. Saputo che è stato a potare nell’orto, svolge le sue considerazioni e dà i suoi consigli, citando proverbi: “Famme pòvere che te facce ricche”. Gli alberi più si potano e più danno frutti, bisogna togliere “la capumànne” se di frutti se ne vogliono di più. Si devono “carusà ‘nda Ddìje cummànne”. Quelli che potano male giustificano gli scarsi raccolti con la poca acqua avuta dagli alberi da frutta. Quando è il tempo di potare si deve potare. La saggezza contadina di Giacobbo è immensa. Ehi, è arrivato “’nu terrepòne”, che succede? E cominciata la guerra? No, sono festeggiamenti calcistici. Ma lui non può vedere la scostumatezza, perché devono vincere 3-0? Non bastava vincere uno a zero? “Je ne fì ine, fore ti chiìme e te n’arvì”. Quando è troppo è troppo. Giacobbo che parla di calcio è un portento.
ELSO SIMONE SERPENTINI