Era il 2005. E sembrava passato tanto tempo da quando avevo lasciato la televisione, nel 1995. Erano passati 10 anni… quando tornai in TV, a Teleponte (che in pratica avevo avviato come emittente televisiva vera a metà degli anni ’80), su invito di Walter Cori e Antonio D’Amore, che conduceva un programma che si chiamava “7(sette)tè”. Il compito era quello di sorprendere e anche quello di mettere paura, perciò D’Amore faceva non il poliziotto, ma il conduttore, buono, e io quello cattivo. Lui faceva le domande dolci, io quelle dure e amare. In questo pezzo che ripropongo compare Enzo Scalone, al quale faccio davvero delle domande scomode, soprattutto chiedendogli come mai si fosse visto passare davanti tanta gente nella sua carriera politica a sinistra e avesse dovuto accettare solo un ruolo da gregario. Lui si difende, ma è come un pugile messo all’angolo. Poi, secondo il nostro rituale, io chiudo e concludo. Dico che lo ha frenato la sua troppa prudenza, ha sempre e solo temporeggiato, non ha avuto l’audacia del suo avo, Marcello Scalone, brigante noto con il soprannome “Pilone”, afforcato sotto Frondarola. Forse ha avuto paura di fare la stessa fine. Il giudizio è severo e sarcastico: Scalone ci ha sempre pensato troppo, ha temporeggiato e gli altri lo hanno sorpassato, gli sono passati davanti, di alto, da sotto, da sopra, e lui è rimasto sempre con un pugno di mosca in mano. Perché troppo serio? chiede D’Amore, facendo anche lui il malizioso.
ELSO SIMONE SERPENTINI