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Joker

Da qualche giorno è partito a Teramoil progetto cinematografico estivo “𝗦𝗺𝗲𝗿𝗮𝗹𝗱𝗼𝗔𝗿𝗲𝗻𝗮 - situato nell’area verde adiacente allo storico cinema teramano - che permetterà la visione delle migliori pellicole  in un clima nuovo, fresco e romantico in sicurezza. 

Smeraldo Arena presenta questa sera un film imperdibile: Joker. Il film di Todd Phillips in cui Joaquin Phoenix interpreta il personaggio di Arthur Fleck durante la transizione che lo porta a diventare Joker, il noto antagonista di Batman. Joker è stato premiato come miglior film al Festival di Venezia e nel suo primo giorno in Italia è stato visto da più di 250mila spettatori. Il film è ambientato negli anni Ottanta nell’immaginaria Gotham City ed è quello che nel gergo dei fumetti si definisceorigin story: una storia che racconta come un personaggio, in genere un supereroe, è diventato quel che tutti conoscono. Joker, però, è notevolmente diverso dai film di supereroi, in particolare dai tanti film della Marvel; non solo perché il suo personaggio è uno dei cattivi. Joker è un thriller drammatico e neo-noir; cupo, crudo, realistico, con al centro un personaggio depresso, psicopatico e violento.È difficile dire se Joker sia piaciuto o no ai critici. Qualcuno ne ha parlato come di un capolavoro e di un film potente e importante, che potrebbe dire la sua agli Oscar e cambiare in meglio l’approccio ai film di supereroi dei prossimi anni; ma c’è anche chi ne ha parlato come di un film molto piatto, pesante e monocorde, oltre che problematico se non per certi versi pericoloso. Joker, infatti, è anche uno di quei film con cui spesso si finisce a parlare del “messaggio” e del “significato” più che di cose come la regia, la fotografia o la recitazione.

Da mesi si rincorrevano rumors e anticipazioni, si moltiplicavano speculazioni, illazioni e le più fantasiose disamine di teaser e trailer. Ma senza tergiversare oltre, possiamo affermare subito, con la serenità di una constatazione oggettiva, che Joker rappresenta un fatto storico. Un’orda di detrattori e ammiratori, schierati in opposte fazioni, attendeva letteralmente al varco il Joker di Todd Phillips e Joaquin Phoenix. Il primo film dedicato interamente al personaggio che è l’epitome del “chaoticevil”: icona che attraversa la cultura contemporanea in modo trasversale, dagli albi a fumetti al grande schermo, per imprimersi nell’immaginario collettivo come un marchio a fuoco. Mutaforme per natura, nella percezione del regista Joker non è altro che un nuovo Amleto, o magari un nuovo Edipo. Anti-eroe dalla statura tragica, che della tragedia classica e del dramma shakespeariano ha il potere di incarnarsi in molteplici attori, nelle più diverse messe in scena. Come non esiste un solo Amleto, per Todd Phillips qualunque disquisizione sulla fedeltà alla vera anima del Joker in fondo è priva di senso. Il Joker di Joaquin Phoenix prometteva così di raccontare un Joker mai visto prima. Oggi, possiamo dire che il film ha mantenuto la promessa, arrivando perfino a superare le aspettative.  Quando un autore cerca di riscrivere il confine tra cinecomic e cinema d’autore, fatalmente sembra rivolgersi all’immaginario e l’universo di Batman. Hanno sfidato questo limite, apparentemente invalicabile, Tim Burton e Christopher NolanJack Nicholson e il compianto HeathLedger. Todd Phillips e Joaquin Phoenix scrivono oggi una nuova pagina di Storia del Cinema, firmando una perfetta tragedia contemporanea. “Allittakesis a badday”. Tradotto, “In fondo basta una brutta giornata”. Così recita il poster del nuovo Joker. E per Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), in realtà sono in arrivo una lunga serie di pessime giornate. Ex paziente psichiatrico, il suo reinserimento in società è più duro del previsto. Sullo sfondo, una metropoli che porta il nome fittizio di Gotham, ma si mostra chiaramente come la New York violenta dei primissimi anni ‘80. Arthur Fleck, detto Art, per tutta la sua vita ha sognato solo una carriera come comico nella stand-up comedy. In realtà è costretto a lavorare in una miserabile compagnia di clown, mentre condivide un appartamento sudicio con sua madre Penny (interpretata dalla gloriosa FrancesConroy di SixFeetUnder e American Horror Story). Se la donna l’ha cresciuto senza alcun aiuto, ora il dovere di Art è va accudirla in ogni singolo gesto. Per ragioni misteriose, Penny ha sempre chiamato suo figlio Happy. Davvero uno strano soprannome, per un uomo che non ha mai conosciuto la felicità in tutta la sua vita. Il film di Todd Phillips e Joaquin Phoenix sceglie di descrivere l’arco temporale che conduce dall’uomo al Joker. O meglio: il punto di rottura dove Arthur Fleck, autentico reietto, relegato da sempre ai margini della società, libera per sempre quel clown triste, che scopre la gioia di essere efferato. Tra i disturbi psichiatrici di Art c’è una sindrome davvero anomala: la risata patologica. L’incredibile interpretazione di Joaquin Phoenix nella parte del Joker comincia proprio da quella risata incontrollabile, che esplode nei momenti più inopportuni. Una risata aliena, penetrante, che somiglia più al verso di un animale che alla voce di un essere umano, eppure conserva il riverbero del dolore più straziante. Dopo la risata, il Joker di Joaquin Phoenix spezza il cuore con lo sguardo. Quello sguardo che fa di Joaquin Phoenix uno dei più grandi interpreti del cinema contemporaneo, da TheMasterdi Paul Thomas Anderson a Her di Spike Jonze. Gli occhi di Phoenix somigliano a un dispositivo pre-cinematografico, magari una lanterna magica della tradizione cinese: una scatola che sa riempirsi delle più diverse sfumature di luce. Soprattutto: accendersi col buio della disperazione più nera. Dalla risata allo sguardo, il volto di Joaquin Phoenix si piega per trasfigurarsi in tutte le storiche smorfie del Joker. Ma è il corpo il dato più sconcertante della sua performance. Scarnificato, pelle e ossa, Arthur Fleck mentre diventa Joker asseconda la sua sfrenata passione per il ballo. Dalle movenze grottesche di un clown di strada, Art prende confidenza, si abbandona alle figure del balletti classico, non ha più paura di ispirarsi a Fred Astaire. E sulle note di That’s life di Frank Sinatra la trasfigurazione in Joker è completa. Non c’è solo Fred Astaire tra i punti di riferimento nell’immaginazione distorta di Arthur Fleck. Murray (Robert DeNiro) è il presentatore televisivo che segue da una vita, una figura che si fa sempre più insistente mentre l’uomo perde il contatto con la realtà, il sogno diventa allucinazione. Più di Jack Nicholson e HeathLedger, con i quali Joaquin Phoenix non sembra cercare affatto un confronto, il nuovo Joker potrebbe essere il fratello minore di TravisBickle: il protagonista di Taxi Driver di Martin Scorsese. E in un film di paradossi, che sorprende ad ogni singola sequenza, non poteva che esserci Bob DeNiro in una parte di segno diametralmente opposto. La regia di Todd Philips sceglie un registro costantemente al limite col surreale e il grottesco, intriso di humor noir, eppure questo resta il più realista dei Joker. Un film che può dirsi a pieno titolo una tragedia contemporanea, proprio in virtù della sua straordinaria sensibilità umana, dal forte sostrato di denuncia sociale. Tra le righe della storia, non è difficile leggere un’accusa alla società contemporanea, all’America di oggi, dove un uomo può scivolare nei recessi più oscuri del delirio psicotico senza alcuna assistenza. Todd Phillips, che prima di Joker aveva diretto i tre Una notte da leoniha descritto il film come uno «stratagemma per far passare al grande pubblico un “vero film” facendolo sembrare un film su una storia dei fumetti» (nei fumetti Joker è quel che è perché è caduto in un bidone di sostanze chimiche; nel film diventa un criminale assassino perché è una persona problematica, che la società non riesce ad aiutare). Chi ha apprezzato il film è più o meno della stessa idea di Phillips. «Joker è diverso in ogni modo immaginabile dai film basati sui fumetti fatti fino a oggi», ha scritto Brandon Davis su ComicBook.com, che lo ha anche definito «più pauroso della maggior parte degli horror usciti quest’anno»Nel film non ci sono vere e proprie scene d’azione né grandi effetti speciali, e Joker non ha nessun superpotere. Joker si richiama a un altro genere di film – li cita una recensione su due, almeno – come Taxi Driver e Re per una notte, due film di Martin Scorsese con Robert De Niro. In effetti la Gotham di Joker fa pensare più di una volta alla New York di quei film di Scorsese, De Niro – che è anche in Joker – ha un ruolo in qualche modo legato a quello che ebbe in Re per una notte e, come ha scritto A.O. Scott sul New York Times, Joker tende a ricordare TravisBickle di Taxi Driver più che il Pinguino (un altro antagonista di Batman). Chi ha parlato bene del film ha apprezzato proprio l’ambizione di Joker di scavare in un personaggio, di essere volutamente difficile, in alcuni momenti quasi respingente. Molti critici hanno elogiato anche la capacità alla regia di Phillips, la sua gestione dei tempi del racconto e del modo in cui, attraverso le immagini, riesce a raccontare certi luoghi ed evocare certi stati d’animo. Per quanto riguarda la tecnica, Marlow Stern del DailyBeastha parlato di «astute carrellate, stretti primi piani e inquadrature in cui Arthur Fleck è sperduto in mezzo a una folla», scelte che «rendono bene l’ansia di vivere di Arthur Fleck». È piaciuto molto anche Phoenix, che per il ruolo ha perso diversi chili: qualcuno ha parlato di lui come del miglior Joker di sempre, molti lo hanno messo quantomeno sul podio con Jack Nicholson e HeathLedger. Molti critici hanno parlato di un’interpretazione forte, come richiedeva il personaggio, ma anche intima e controllata. Il film ti prende alla gola e non ti molla, è di una compattezza espressiva da paura ed è inutile dire quanto debba al talento fragorosamente ipnotico di Phoenix Joker è un film molto molto buono, decisamente riuscito, vedendo il quale è però evidente il desiderio del suo autore di realizzare un capolavoro. E questo no, non è riuscito a farlo».

Leo Nodari