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tribunaleSentenza storica del Tribunale di Teramo, quella maturata nella causa di lavoro che ha visto cinque “postine” teramane, difese dagli avvocati Paola Filipponi e Rodolfo Giampietro, costringere alla resa due colossi come l’inps e le Poste, al termine di un complicatissimo iter giudiziario, durato molti anni.
Raccontiamolo.
La storia, come detto, è quella di cinque dipendenti delle Poste: Flavia Mucciconi, Marina Delle Monache, Patrizia Chicarella, Anna Santucci, Maria Puccitti che hanno tutte lavorato alle dipendenze di Poste Italiane Spa con contratto a tempo determinato trimestrale, presso la filiale di Teramo espletando le mansioni di portalettere nel periodo compreso tra la fine degli anni 90 e gli inizi del decennio successivo.
Le lavoratrici furono assunte, formalmente, con il fine dichiarato di sopperire ad esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali ed in ragione della graduale introduzione dei nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, ma in realtà, le lavoratrici furono destinate alla ordinaria attività di portalettere, in sostituzione di personale assente per malattia o infortunio ed a copertura di posto vacante, non essendo in corso alcuna ristrutturazione o rimodulazione degli assetti occupazionali né l'introduzione di nuovi processi produttivi o sperimentazione di nuovi servizi.
Pertanto, le lavoratrici proposero ricorso al Giudice del Lavoro del Tribunale di Teramo, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del termine apposto al loro contratto di lavoro e, conseguentemente, che venisse dichiarata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Tutte le lavoratrici ottennero sentenze con le quali veniva dichiarata la nullità dei termini apposti ai relativi contratti, l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza retroattiva, con diritto alla riammissione in servizio e conseguente condanna di Poste Italiane Spa a ripristinare il rapporto di lavoro e a corrispondere tutte le retribuzioni maturate sino all'effettivo ripristino del rapporto di lavoro.
In ottemperanza alle suddette sentenze, Poste Italiane Spa provvide al pagamento delle retribuzioni dovute alle lavoratrici, per i periodi così come stabiliti nelle rispettive sentenze, versando a favore di ognuna di esse le somme spettanti, al netto ovviamente degli oneri fiscali e previdenziali che ovviamente avrebbe dovuto versare all’Istituto Previdenziale.
Al fine di porre termine alle vertenze, Poste Italiane Spa propose alle lavoratrici la stipula di verbali di conciliazione, con i quali le parti stabilirono: le lavoratrici rinunciavano, tra l’altro, agli effetti giuridici ed economici delle rispettive sentenze di riammissione in servizio, obbligandosi alla restituzione degli “importi complessivamente liquidati dall’Azienda per i periodi non lavorati”; Poste Italiane Spa, da parte sua, procedeva all’assunzione delle lavoratrici ex nunc con contratto di lavoro a tempo indeterminato, ponendo così fine ai contenziosi.
Insomma, sembrava una cosa buona per tutti.
E invece…
A seguito della sottoscrizione dei suddetti verbali di conciliazione tutte le lavoratrici restituirono a Poste Italiane Spa somme in effetti maggiori rispetto a quanto effettivamente ricevuto dalla medesima Società, giacché le somme da restituire erano comprensive anche degli oneri previdenziali che Poste Italiane Spa avrebbe nel frattempo già dovuto versare al competente Istituto Previdenziale Ipost (poi successivamente confluito nell’INPS).
In particolare:
- la sig.ra Chicarella Patrizia si obbligava a restituire la somma di euro 50.818,51, pur avendo in realtà ricevuto la somma netta di euro 42.317,89;
- la sig.ra Delle Monache Marina si obbligava a restituire la somma di euro 149.464,87, pur avendo in realtà ricevuto la somma netta di euro 93.623,30;
- la sig.ra Mucciconi Flavia si obbligava a restituire la somma di euro 111.846,44, pur avendo in realtà ricevuto la somma netta di euro 77.648,15;
- la sig.ra Puccitti Maria si obbligava a restituire la somma di euro 29.825,05, pur avendo in realtà ricevuto la somma netta di euro 21.128,42;
- la sig.ra Santucci Anna si obbligava a restituire la somma di euro 46.790,72, pur avendo in realtà ricevuto la somma netta di euro 37.290,10.
Tuttavia i contributi previdenziali a distanza di molti anni non comparivano nell’estratto conto previdenziale delle singole lavoratrici che in varie occasioni si erano recate presso le locali sedi INPS al fine di accertare l’effettivo versamento dei contributi previdenziali, senza ricevere alcuna risposta certa.
Pertanto le lavoratrici negli anni 2014 e 2016 inoltravano, a mezzo dei propri avvocati (Paola Filipponi e Rodolfo Giampietro) richieste formali sia a Poste Italiane Spa, sia all’INPS senza ricevere mai riscontro alcuno.
Perdurando tale situazione di incertezza, nel 2017 reiteravano formalmente a Poste Italiane Spa e all’INPS tali richieste, senza ricevere anche in questo caso alcun riscontro.
Nel 2018 le lavoratrici erano pertanto costrette a rivolgersi all’Autorità Giudiziaria al fine di accertare se effettivamente Poste Italiane Spa avesse o meno provveduto al versamento dei contributi previdenziali loro spettanti.
Peraltro, tale situazione di incertezza e grave confusione aveva comportato l’impossibilità, per le stesse di poter fruire di agevolazioni su prestazioni sanitarie nonché la difficoltà ad ottenere mutui e/o prestiti da parte degli Istituti di Credito o Società Finanziarie, non risultando in busta paga l’esatta anzianità contributiva; inoltre, ciò aveva impedito alle lavoratrici di rendersi effettivamente conto della necessità e/o convenienza di aderire ai Fondi di Previdenza Complementare.
I verbali di conciliazione a mezzo dei quali le lavoratrici si erano obbligate alla restituzione delle somme ivi indicate, al lordo della contribuzione previdenziale e dunque in misura addirittura superiore a quanto ricevuto dal Poste Italiane, presumevano implicitamente che Poste Italiane Spa avesse regolarmente provveduto al proprio obbligo contributivo nei confronti dell’Ente Previdenziale.
In mancanza, la pretesa di Poste italiane Spa di farsi restituire dalle lavoratrici somme maggiori rispetto a quelle precedentemente versate loro in ottemperanza delle sopra menzionate sentenze di riammissione in servizio, avrebbe costituito un ingiustificato ed illegittimo indebito arricchimento per la Società.
Nel giudizio si costituiva solo l’INPS il quale, in questa sede, per la prima volta, dichiarava in maniera certa e formale che i contributi non erano mai stati versati da Poste Italiane Spa.
Va anche rilevato come l’Inps abbia preferito costituirsi in giudizio, con dispendio di denaro pubblico e professionalità interne, quando sarebbe bastato dichiarare da subito con una semplicissima mail che i contributi non erano stati versati!
Poste italiane, invece, riteneva di non costituirsi e di non comparire (ovviamente ci sarebbe voluta una bella faccia tosta a dichiarare candidamente di aver incamerato il denaro destinato ai contributi delle lavoratrici!!)
Il Giudice del tribunale di Teramo, dottoressa Daniela Matalucci, con una sentenza innovativa,di cui non si riscontrano analoghi precedenti, ha riconosciuto il diritto di tutte le lavoratrici a vedersi restituire le somme destinate alla contribuzione previdenziale che Poste Italiane aveva indebitamente trattenuto per sé,procurandosi in tal modo un indebito arricchimento. Poiché Poste Italiane ha trattenuto indebitamente a migliaia di lavoratori (tutti quelli che all’epoca stipularono gli accordi di transazione) le somme destinate alla contribuzione previdenziale, altri lavoratori sono in procinto di iniziare analoghe vertenze per il recupero delle somme loro spettanti.