«Ma a questo punto poteva solo pensare alle piccole cose, al salvabile, perché certi poteri sono inattaccabili non perché potenti ma perché mimetici.»
MASSIMO RIDOLFI, Angeli, Letterature Indipendenti, Teramo, maggio 2025, p. 426
Perché leggiamo libri? Perché alcuni di noi sentono l’esigenza di scriverne? Per moda, per assicurarsi l’eternità, perché abbiamo bisogno di uno “sfogatoio”originale e privilegiato? Quando penso alla letturapenso alla sete, e la sete non mente, è sincera; non si simula la sete – o ce l’hai o non ce l’hai –, e soprattutto la sete non è mai dello stesso tipo: perogni sete c’è un’apposita categoria di bevanda, un’acqua adatta a spegnerla che non èmai la stessa ma è un’acqua individuale, che non risponde (o non dovrebbe rispondere) a dinamiche di mercato o a studi sul gusto medio degli utenti. Si legge perché si è alla ricerca delle parole giuste per dare una risposta privata, organica e sensata alle domande urgenti del vivere, per dissetarsi con un’acqua estratta da altri ma che avremmo voluto imbottigliare noi, per dare un significato alle cose della vita, alle ferite, alla sconfitta, a un sentire incontenibile ma non ancora classificato; anche per la scrittura vale quasi la stessa regola, solo che in questo caso le parole giuste da inserire in una probabile risposta dobbiamo crearcele da soli. È l’autore che tenta di salvare se stesso rileggendo le proprie parole apparentemente scritte per il mondo; se queste aiuteranno anche altrilettori non scrittori sarà del tutto casuale: il vero scrittore scrive per salvare se stesso, non il mondo, per dare un titolo all’esistenza e ai fatti che la caratterizzano.
La lettura e la scrittura non mosse da un’urgenza autoconoscitiva si riducono a giochi autoreferenziali ed esibizionistici che non istruiscono alcuna coscienza, néquella del lettore, né tantomeno quella dell’autore, che resterà solo un artigiano anche bravo ma senza anima. Esibire statistiche e bilanci è lo sport preferito di chi non ha mai sanguinato veramente in vita sua, di chi non ha bisogno di dare un nome e una forma leggibile al dolore. Scrive Papa Francesco nella sua “Lettera ai poeti” pubblicata da Crocetti Editore in un’antologia di poesia religiosa: “[…] la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino. La poesia è aperta, ti butta da un’altra parte.” Si legge e, in seguito, probabilmente si scrive perché abbiamo bisogno di capire, di capirci, di pungerci per sapere di essere vivi e alla ricerca di una verità.
Massimo Ridolfi, poliedrico autore teramano, che si è cimentato in quasi tutti i generi letterari, dal teatro alla saggistica, dal romanzo alla poesia, passando per un non ancora esaurito –in quanto di fatto inesauribile –lavoro di traduzione, ha fatto di questa sete urgente il motore principale della sua ricerca umana e letteraria; ed è necessario parlare di ricerca “umana e letteraria”per contraddistinguere il suo lavoro teso all’identificazione e al non addomesticamento delle tensioni esistenziali, da quello editorial-commerciale, rasserenante e proficuo di purtroppo moltissimi altri autori oggi in circolazione e dei loro complici editori. Autore e, inevitabilmente, “critico militante” che come il Cyrano di Rostand“non perdona e tocca!”, ovverodecostruisce il mainstream, l’intoccabile, il “famoso”, e al contrario di tanti prezzolati che dicono di occuparsi di poesia emergente, valorizza l’inedito che merita, il non captato da logiche “amichettistiche” o da piani editoriali.
Sempre Papa Francesco scrive: “Questo è il vostro lavoro di poeti: dare vita, dare corpo, dare parola a tutto ciò che l’essere umano vive, sente, sogna, soffre, creando armonia e bellezza”. Ma l’armonia è anche opera di cesello del tempo, e Ridolfi, ricercatore autentico e meticoloso, dopo essersi svincolato da qualsiasi compromesso stilistico-editoriale(l’indipendenza diventa cifra irrinunciabile di una scelta di libertà stilistica e commerciale al punto tale da farsi “marchio”: “Letterature Indipendenti”è il nome della creatura editoriale di Ridolfi), ha fatto della lentezza e della decantazione i suoi comandamenti principali andando contro le mode efficientiste, e caratterizzate da un marketing veloce, degli editori in voga e delle loro uniformanti scuole di scrittura, diventando egli stesso “Editore alla Lentezza”, alambicco di pensieri e parole, di quelle proprie e, da un certo momento, anche di parole di altri autori assetati come lui non di vendite ma di verità.
MICHELE NIGRO