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"Mi rendo conto solo ora che il destino possa riservare delle esperienze che vanno oltre ogni immaginazione. Prima di vivere tutto questo non avevo mai riflettuto a fondo sul concetto di giustizia e di punizione, o su come, spesso, si possa essere troppo facilmente giustizialisti di fronte a quello che potrebbe essere anche un errore giudiziario". C'è un italiano che è stato condannato alla pena di morte. Si chiama Denis Cavatassi, è di Tortoteto e ha 50 anni, ed è rinchiuso nelle carceri tailandesi con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio del suo socio, Luciano Butti, ucciso nel marzo del 2011 a Pukhet dove entrambi avevano un'attività di ristorazione. Questa è una delle lettere che in questi anni ha inviato in Italia, alla sua famiglia. Oggi il quotidiano La Repubblica pubblica la storia di Denis raccontata dalla sorella. Cavatassi si è sempre detto innocente. Arrestato subito dopo l'omicidio fu rilasciato su cauzione. Poteva scappare. Non l'ha fatto. Ha aspettato il processo convinto di un'assoluzione. E invece è arrivata la condanna a morte. Ora è in corso l'appello. Romina, sua sorella, sta conducendo una battaglia perché venga riconosciuta l'innocenza di suo fratello. Accanto a lei c'è ora l'avvocato Alessandra Ballerini (la stessa delle famiglie di Giulio Regeni e Andy Rocchelli, tra le maggiori esperte in Italia di diritti umani), che la accompagnerà domani, martedì 6 febbraio, con Amnesty International e il senatore Luigi Manconi in Senato per raccontare a tutta l'Italia cosa è accaduto a Denis. E cosa sta accadendo. "Le nostre speranze - spiega Romina a Repubblica - sono che venga assolto e dichiarato innocente, quale è. Speriamo e confidiamo nella serietà e professionalità della corte suprema, composta da tre giudici di esperienza. Speriamo che i giudici della corte suprema eseguano un esame attento della documentazione, dell'iter processuale e delle varie violazioni che ci sono state. Speriamo che gli si garantisca un processo equo che finora non c'è stato. Ci stiamo rivolgendo all'attenzione sociale e istituzionale perché vorremmo che il suo e il nostro inferno finisse, ma vorremmo anche che a tutti, colpevoli o innocenti che siano, venisse garantito un processo equo e un trattamento.