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[caption id="attachment_85772" align="alignleft" width="150"] MODEL RELEASED. Depressed elderly woman, covering her face with her hands.[/caption] «Che devo fare con mio marito? Lo devo abbandonare? Lo devo gettare nella spazzatura come un rifiuto che nessuno vuole? Che devo fare di quest’uomo che soffre e nessuno aiuta?» E’ un grido di dolore terribile, non urlato, ma scandito con la voce di chi sente di non avere altra risorsa se non quella di chiedere aiuto pubblicamente, vincendo antichi riserbi e una tradizione di vita costruita facendo sempre tutto da soli. Siamo ad Alba Adriatica e quella che chiede aiuto è una donna stanca, che da più di un anno combatte da sola contro una malattia terribile, il morbo di Parkinson che ha colpito il marito. E non solo. Ascoltiamola «Mio marito ha fatto lo chef per tutta la vita, era bravissimo e apprezzato, lavorava continuamente, quello è un lavoro molto duro, poi, all’improvviso, una bruttissima depressione». Già, all’improvviso tutto cambia. E quell’uomo gioviale e gentile si chiude, si ripiega sulla sua sofferenza, mentre il mondo tutt’intorno crolla. Niente lavoro, giornate intere a casa, poi il Comune che lo chiama a fare l’operatore ecologico e qualcosa sembra cambiare, ma è un’illusione, perché il morbo pretende il suo spazio. Non può più lavorare e, in pochi mesi, fa anche fatica a muoversi. Di lì alle giornate vissute tra un letto e una sedia a rotelle, con quelle mani che non vogliono saperne di star ferme, non ci vuole molto. Sofferenza chiama sofferenza, fino a quel maledetto 12 settembre del 2016: «E’ caduto e si è rotto un femore - racconta la moglie - ma non era solo una rottura, era l’inizio del calvario» Subito all’ospedale di Sant’Omero, dove viene operato, poi, dopo 17 giorni di ricovero il trasferimento a Villa Serena, per le terapie. Quaranta giorni di fisioterapia, resi ancora più difficili e dolorosi da quel morbo che si fa sempre più presente. E quaranta giorni non bastano, così viene trasferito a Sant’Agnese, per altri 29 giorni. Poi, finalmente può tornare a casa. «Quando ha lasciato l’ospedale, la dottoressa si è raccomandata di continuare le terapie, perché mio marito ha bisogno di terapie costanti - racconta la moglie - e infatti sono andata alla Asl, a Sant’Omero, dove mi hanno dato gli indirizzi di tre centri: uno a San Nicolò, uno a Montorio e uno in Val Vibrata… ma nessuno aveva posto, mi dicevano di riprovare e riprovare… intanto, il tempo passava e nessuno faceva niente per mio marito, ho chiesto anche aiuto all’Adi, l’assistenza domiciliare della Asl, ma mi hanno detto che se non ha le piaghe non vengono e quelli del Santo Stefano non fanno servizi a casa…sono disperata» Sono passati 16 mesi e un pugno di giorni, da quella caduta. Ad Alba Adriatica c’è un uomo che soffre e una donna vinta da quella sofferenza. Davvero vogliamo che finisca così?