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La famosa affermazione del Principe Carlo, secondo cui a Londra gli architetti degli anni ’70 hanno fatto più danni dell’aviazione tedesca durante il secondo Conflitto mondiale, può tristemente essere applicata al nostro capoluogo. Negli ultimi 50 anni abbiamo “ammirato” l’abbattimento del teatro comunale per dar spazio al volume della Standa, agghiacciante metafora del nuovo che avanza, il proliferare di palazzoni fuori scala e fuori contesto, per gentile concessione delle amministrazioni democristiane, fino agli ultimi regali alla cittadinanza targati Brucchi-Chiodi: l’Ipogeo, tanto brutto quanto inutile e l’interminabile pavimentazione del corso, evidente omaggio ai lungomare della nostra costa, sormontata ora da quell’incredibile accrocco in metallo che tanto ricorda le balere di provincia. Sul recupero del teatro, però, nutrivamo qualche speranza. Il progetto, tanto atteso, affidato con le solite gare pasticciate allo studio Bellomo, lascia però più che perplessi. Non possiamo che convenire sulla necessità di demolire i palazzi Adamoli e Salvoni, che solo qualche erudita provocazione potrebbe leggere come “segni del tempo”, con la conseguente liberazione degli spazi dell’orchestra e della scena. Così come sposiamo l’idea di integrare gli elementi strutturali sopravvissuti con archi e setti che possano ripristinare la necessaria continuità funzionale della cavea. Ma le luci del progetto, a nostro avviso, finiscono qui. Ci sembra un’enormità senza senso inscatolare la perimetrazione esterna e le tribune con elementi in acciaio e vetro, che renderanno molto meno percettibili le arcate i setti, l’arenaria, il travertino e tutte quelle vestigia che in questi anni hanno contribuito a rendere viva la memoria dell’opera. Un ennesima teca, una scatola impenetrabile, di fatto una barriera che allontana anziché avvicinare, una cesura visiva e fisica che tanto ricorda quella della domus in Piazza S.Anna. Senza contare che l’ingresso stesso del teatro, nel rendering è rivestito di pannelli nerissimi, che appaiono assolutamente fuori luogo in un intervento che dovrebbe fare del genius loci, del rapporto con il contesto uno dei suoi cardini. A nessuno dei tanti teatri romani sparsi di cui la nazione è ricca, è toccata, ci sembra una sorte analoga. Quelli di Fiesole, Ostia, Benevento, Spoleto hanno goduto di interventi di restauro e risanamento molto meno invasivi e sono diventati con il passare degli anni attrazioni turistiche e sedi di eventi e concerti di assoluto rilievo. Non crediamo, in definitiva che quella prospettata sia la soluzione ottimale alla valorizzazione di un’opera su cui è invece assolutamente necessario puntare per poter rinascere, per poter realmente ambire, un giorno non troppo lontano, a capitale della cultura, supportando stavolta la candidatura con i fatti e non con i proclami. Movimento 5 Stelle Teramo