Franco D’Ignazio non c’è più. Il primo ricordo va ad un pomeriggio domenicale, nella vecchia redazione storica del Messaggero in via Costantini, nella quale, con quel pizzico di cinismo autoprotettivo che ti viene facendo il mestieraccio, si discuteva di chi avrebbe scritto di chi. Di chi, in quella redazione, avrebbe scritto il “coccodrillo” di quale collega. Anagrafe pretendeva che fossimo noi, i giovani, a scherzare su quello che avremmo scritto. E il nostro bersaglio era Franco. Perché Franco fumava (troppo), perché Franco mangiava (male), perché Franco non dormiva (quasi mai). C’era quel cameratismo costruito sul tempo della condivisione, sulle ore convissute a raccontare fatti e a raccontarci di noi. Perché una redazione non è ufficio, non ci vanno gli impiegati. È altro. E unico. Franco era un giornalista. Con tutti i suoi limiti, con tutti i suoi difetti, con un carattere tutto suo, ma era un giornalista. Vero. Di quelli che sanno che la notizia si deve pubblicare. Anche quando è pericoloso. Anche quando fa male anche a te. Uno di quelli che scrivevano quando le notizie, sempre loro, non arrivavano da Facebook, ma dovevi andartele a trovare da solo. Non c’era internet. Non c’erano i computer. E quando arrivó il “telecopier” (poi l’avremmo chiamato fax) nessuno ne comprese il funzionamento, e Franco invió dieci menabó, prima di riderne con noi. Ciao Franco... ci mancherà il tuo “coso, tu che hai?”... che segnava l’inizio di ogni pagina vuota.
Franco D'Ignaio aveva 77 anni, era malato da tempo, sarà sepolto senza funerale (come da sue volontà) lunedì prossimo