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Amnistia

Alla prova del coronavirus il carcere esplode. È già esploso e si contano i morti. Com’era prevedibile e come era stato previsto. Ora occorrono interventi urgenti da parte di governo e parlamento. Già si è perso troppo tempo e ulteriori attese sarebbero irresponsabili. Quella carceraria è una vera emergenza. Per tutti.Per questo motivo, ancora la giovane e attiva Antonella Fracassi si fa promotrice di una brillante proposta di petizione per chiedere al ministro Bonafede l’amnistia e l’indulto in questo momento di difficoltà del Paese. La proposta della  procuratrice legaleavezzanese/teramana è precisa ed articolata e parte da considerazioni civili, sociali e umane inappellabili.

Primo. Ci sono, nelle carceri italiane, 62mila detenuti a fronte di 45 mila posti. In questa situazione di sovraffollamento l’approdo del virus in uno o più istituti sarebbe devastante. Nell’immediato per i detenuti e, subito dopo, per l’esterno. Gli spazi ristretti, l’inevitabile promiscuità, l’impossibilità di misure precauzionali adeguate determinerebbero una diffusione esponenziale del contagio senza “vie di fuga”. I muri non sono una difesa né in entrata né in uscita. Il carcere non si può “sigillare”.Le misure fino ad oggi adottate (sospensione dei colloqui, blocco dei permessi e, qua e là, interruzione del lavoro all’esterno e del regime di semilibertà) sono tanto punitive quanto insufficienti ché le vie del contagio – come stiamo imparando giorno dopo giorno – sono molte e imprevedibili. Provocano solo disagio, proteste e rivolte senza risolvere il problema.

Secondo. Un intervento immediato, oltre che necessario, è possibile. Si può agevolmente sospendere e differire con decreto legge (una volta tanto motivato da effettive ragioni di necessità e urgenza) l’esecuzione della pena per i condannati a pene inferiori a due o a tre anni (eventualmente con eccezioni per titoli di reato o recidiva). Il decreto consentirebbe al pubblico ministero che cura l’esecuzione di disporre la scarcerazione, senza necessità di richiesta degli interessati e in tempo reale, di oltre 10.000 detenuti. Persone di pericolosità ridotta la cui liberazione non creerebbe particolare allarme sociale (trattandosi, tra l’altro, solo di un rinvio dell’esecuzione), ridurrebbe le presenze in carcere al di sotto della capienza regolamentare e consentirebbe, in caso di necessità, misure precauzionali adeguate. 

Terzo. Tamponata la situazione si deve affrontare la “normalità” del carcere, traendo dall’emergenza gli opportuni insegnamenti. Le politiche sicuritarie perseguite in modo bipartisan negli ultimi anni hanno provocato una crescita continua e incontenibile delle pene senza che ciò abbia ridotto insicurezza e paure. 

Come ci ricorda la dottoressa Antonella Fracassi c’è un’altra strada, possibile e razionale: quella di un uso oculato e intelligente dell’amnistia e dell’indulto, istituti risalenti nel tempo e utilizzati da sempre nel nostro Paese, dove, tra il 1946 e il 1990, ci sono state ben 17 amnistie (a volte con valenza politica, più spesso con finalità deflattive) senza che ciò abbia destabilizzato il sistema. Nell’ormai lontano 1992 peraltro, nel clima della nascente Tangentopoli, l’amnistia e l’indulto sono stati trasformati da istituti giuridici in bestemmie impronunciabili e si è riscritto l’articolo 79 della Costituzione richiedendo, per la loro adozione, il voto favorevole dei due terzi del Parlamento (cosa che rende la loro approvazione più difficile della modifica della Carta fondamentale). Razionalità vuole che oggi si ridia loro cittadinanza. Esse, infatti, consentirebbero, previo monitoraggio della situazione, di approntare interventi mirati e trasparenti in grado di evitare l’ingolfamento del sistema giudiziario e l’implosione del carcere. Questa consapevolezza comincia a farsi strada. È importante non lasciarle cadere. Va in questa direzione la proposta della procuratrice abruzzese di lanciare una raccolta di firme per il Ministro. E c’è da giurare che non sarà l’ultima intelligente, e positiva, iniziativa della nostra rivoluzionaria con la toga.

Leo Nodari