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Mi chiamo Chiara, ho 30 anni e gestisco un'associazione sportiva a Teramo. Negli ultimi due anni sono stata privata del mio lavoro e del mio mondo - lo sport, la sala di danza, la musica, l'arte - per colpa di un signore che, da ben 22 mesi, risiede in Italia e tutti conosciamo col nome di COVID-19.
Faccio parte di quella "categoria non essenziale allo sforzo produttivo del paese". Faccio parte di quella categoria che ha cercato di sopravvivere ad ogni costo ed in ogni modo possibile e che, nonostante tutto, è stata privata per mesi del proprio lavoro.
Sono stati mesi duri, neri, sofferti, pieni di sacrificio, in cui non riuscivo a vedere la luce in fondo al tunnel. Mesi trascorsi in casa, a fissare il vuoto, chiedendomi quando sarei riuscita a riprendere in mano la mia routine ed il mio lavoro, a mettere piede in palestra e nella mia sala di danza, ad entrare all'interno di un teatro.
Poi questa mattina mi sono imbattuta in foto di festeggiamenti dei tifosi per la vittoria della nazionale italiana agli europei di calcio.
Inutile spiegare il mio sgomento, la rabbia, la delusione: l'ennesima mancanza di rispetto per la mia categoria da parte dello Stato.
Proprio a ridosso del campionato europeo, viene tolto l'obbligo di mascherina.
Vengono installati maxi schermi in tutte le principali città italiane, con decine di migliaia di persone accalcate a guardare una partita di calcio, urlanti e abbracciate l'un l'altra.
Ieri sera migliaia di persone si sono riversate in piazze e strade a festeggiare mentre, di contro, a teatro le sedute per il pubblico vengono dimezzate e rigorosamente distanziate.
Nel frattempo i contagi aumentano, tuttavia - mi sembra - non per colpa delle strutture sportive o dei teatri che seguono (ed hanno sempre seguito minuziosamente) tutti i protocolli anticovid.
I politici gridano "prudenza", quando sono stati loro i primi imprudenti nel permettere tutto questo. Lo Stato poteva istituire un coprifuoco per il dopo partita, anziché suggerire di "tifare responsabilmente".
È inevitabile che i contagi aumenteranno nuovamente e quindi ancora una volta ne faremo le spese noi collaboratori sportivi, noi artisti.
Anch'io ieri sera ho urlato "forza azzurri" davanti allo schermo di casa. Anch'io mi sono emozionata di fronte alla vittoria della nostra nazionale, senza però prendere parte a quegli assurdi festeggiamenti in strada.
E stamattina mi sono chiesta furibonda quanto ci costerà tutto questo festeggiare di folle stoltamente assembrate. Quanto ci costerà in termini di contagi, di nuove zone rosse, di ricoveri, di posti lavoro.
Mi chiedo se una coppa valga davvero il vanificare tutti gli sforzi fatti in due anni.
Ma in fondo, che importa?
Siamo campioni d'Europa e tutto il resto non conta.
CHIARA D'ANTONIO