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Nel cuore del Pacifico, Tuvalu, lo Stato polinesiano composto da più isole e situato nell'Oceano Pacifico a metà strada tra le isole Hawaii e l'Australia sta scomparendo.
Letteralmente.
Minacciato dall’innalzamento del livello del mare, dall’erosione costiera e da eventi climatici estremi sempre più frequenti, questa piccola nazione insulare è diventata il simbolo vivente della crisi climatica globale.
Oltre un terzo della popolazione ha già fatto domanda per un VISTO CLIMATICO permanente verso l’Australia, grazie al Falepili Union Treaty , un accordo pionieristico entrato in vigore nell’agosto 2024, che rappresenta una svolta nella migrazione indotta dal cambiamento climatico, e segna un precedente nei rapporti tra Stati vulnerabili e Paesi industrializzati.
Ma questo intervento è davvero una soluzione?
O è l’ennesimo sintomo di un sistema globale che preferisce gestire le conseguenze piuttosto che affrontarne le cause?
1. CRISI CLIMATICA GLOBALE: A CHE PUNTO SIAMO?

Il rapporto IPCC 2023-2024 ha lanciato un messaggio inequivocabile: se non si riducono rapidamente le emissioni globali, si supererà il limite critico di +1,5 °C tra il 2030 e il 2034.
Le politiche attuali ci stanno invece portando verso un mondo più caldo di +2,7 °C entro la fine del secolo [1].
I cosiddetti tipping points – come il collasso delle calotte polari, la morte delle barriere coralline o il disgelo del permafrost – rischiano di innescare una catena di eventi irreversibili.
Le popolazioni più colpite?
Quelle che meno hanno contribuito alla crisi, ma che pagano il prezzo più alto: i piccoli Stati insulari, i Paesi dell’Africa subsahariana, alcune regioni dell’Asia e del Sud America.
2. TUVALU. IL PRIMO ESEMPIO DI STATO DI RIFUGIATO CLIMATICO?

Il programma di migrazione climatica negoziato tra Tuvalu e Australia è visto dai più come un passo avanti nel riconoscere il diritto alla mobilità in condizioni climaticamente insicure. E sicuramente lo è.
Questo programma, infatti, garantisce l’accesso ad istruzione, lavoro e sanità, ed è stato concepito per preservare la dignità e la continuità culturale del popolo tuvaluano.
Il punto focale è accertarsi che, in un’ottica internazionale, si giunga ad un vero e proprio riconoscimento e gestione della migrazione climatica come nuovo diritto umano.
Lo scenario futuro sarà questo, e si spera che lo diventi concretamente.
Ad oggi, tuttavia, è il caso di ricordare che mancano norme giuridiche internazionali vincolanti: infatti, i cosiddetti rifugiati climatici non sono ancora riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra, che protegge solo chi fugge da persecuzioni o conflitti.
Il rischio è, quindi, che azioni virtuose isolate – come quella australiana – restino solo eccezioni e non diventino parte di una strategia condivisa e strutturata a livello internazionale.
3. MIGRAZIONE: RISPOSTA TEMPORANEA O MODELLO SOSTENIBILE?
La migrazione climatica è un adattamento necessario, ma non può sostituire a tutti gli effetti l’unico intervento realmente necessario, e cioè la mitigazione climatica.
Agire favorendo lo spostamento delle persone, di intere comunità senza agire sulle cause – ovvero le emissioni eccessive, l’estrazione di combustibili fossili, la deforestazione – significa semplicemente spostare l’attenzione dal problema, concentrandosi sugli interventi contingenti senza valutare le cause che li hanno generati e resi necessari.
Secondo l’ONU , entro il 2050, oltre 1 miliardo di persone vivranno in zone ad alto rischio climatico [2].
Il World Bank stima fino a 216 milioni di migranti climatici interni entro la stessa data [3].
Per buona pace di coloro che ne negano gli effetti, i dati parlano chiaramente. Pertanto e’ necessario prendere consapevolezza che il cambiamento climatico non è più solo una questione ambientale, ma sociale, politica ed economica. (4-8)
4. QUALE FUTURO PER I POPOLI CHE SCOMPAIONO?
Tuvalu sta digitalizzando le proprie istituzioni e archivi culturali, cercando di preservare la propria identità anche in caso di perdita territoriale.
Un gesto straordinariamente tragico e lucido allo stesso tempo.
Un atto di resilienza, ma anche un’ammissione implicita di sconfitta rispetto alla battaglia per la sopravvivenza fisica del proprio territorio.
Potrebbe diventare il primo “ Stato virtuale ” della storia, con cittadini dispersi, ma collegati da un’identità condivisa online.
Ma si potrà davvero chiamarla sopravvivenza nazionale?
Può esistere una nazione che vive solo nella mente e nei dati?
Probabilmente, nel mondo interconnesso, dove l’identità si costruisce online, questa potrebbe non essere solo un’utopia, ma una nuova forma di esistenza politica.
Ma come si può ignorare che la vita reale, quella fatta di case, lingua parlata nei mercati, rituali condivisi e luoghi sacri, si radica nello spazio fisico?
Una nazione smaterializzata rischia di diventare un simulacro, un’eco nostalgica di ciò che era.
E’ soprattutto in questo scenario purtroppo affatto distopico e dolorosamente reale, i Paesi industrializzati – storicamente responsabili della maggior parte delle emissioni mondiali – si assumeranno il peso della transizione, non solo con fondi per l’adattamento, ma anche con politiche migratorie eque e una solidarietà concreta?
Il caso di Tuvalu ci costringe a guardare in faccia una realtà scomoda: il futuro climatico è già qui. Non si tratta più di "se" altre comunità saranno costrette a migrare, ma di "quando" e "come".
Non si tratta di una semplice curiosità geopolitica. Questa tragica esperienza dovrebbe essere un monito.
Perché ciò che oggi minaccia Tuvalu, domani potrebbe riguardare intere regioni del pianeta. E allora la domanda non sarà più solo se uno Stato può sopravvivere senza terra, ma se il concetto stesso di umanità può prescindere dalla cura del proprio ecosistema. E se realmente crediamo nella giustizia climatica, nella dignità dei popoli e nella possibilità di immaginare nuove forme di coesistenza.

 CONSUMARE

(1) IPCC, Sixth Assessment Report – Synthesis Report, 2023. Disponibile su: https://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/
(2) United Nations, World Population Prospects and Climate Risk Zones, 2022. https://www.un.org/en/climatechange
(3) World Bank, Groundswell: Preparing for Internal Climate Migration, 2021. https://www.worldbank.org/en/news/feature/2021/09/13/ground-swell-report
(4) BBC, Tuvalu: Nearly a third of citizens apply for climate-linked visa to Australia, 2025. https://www.bbc.com/news/articles/cvg9750vvwxo
(5) The Guardian, Nearly a third of Tuvalu citizens enter ballot for climate-linked visa to relocate to Australia, 2025. https://www.theguardian.com/world/2025/jun/26/nearly-a-third-of-tuvalu-citizens-enter-ballot-for-climate-linked-visa-to-relocate-to-australia
(6) New Scientist, Tuvaluans apply for climate migration visa, 2025. https://www.newscientist.com/article/2485970-nearly-a-third-of-tuvaluans-have-applied-for-climate-migration-visa/
(7) One Green Planet, Tuvalu’s Citizens Apply for Landmark Climate Change Visa to Australia, 2025. https://www.onegreenplanet.org/news/tuvalus-citizens-apply-for-landmark-climate-change-visa-to-australia/
(8) GreenMe, In fuga da Tuvalu: oltre un terzo degli abitanti chiede il visto climatico australiano, 2025. https://www.greenme.it/ambiente/in-fuga-da-tuvalu-oltre-un-terzo-degli-abitanti-dellarcipelago-che-verra-inghiottito-dal-mare-chiede-il-visto-climatico-australiano/