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SCENEXUn tempo il lavoro dello sceneggiatore era quello di ridurre per immagini il racconto di un romanzo individuando le parti più importanti ed escludendone quelle meno rilevanti, meno cinematografiche, vale a dire meno adatte a tradursi in immagini.

Da questo fatto tecnico, cioè quello di tradurre in linguaggio cinematografico, quindi in immagini, un testo letterario, nasce la banale constatazione: Eh, però il libro è un'altra cosa.

E per forza il cinema deve pure essere un'altra cosa, altrimenti non sarebbe Cinema, ed è per questo che preferirò sempre soggetti e sceneggiature originali, cioè scritti originariamente per il cinema e solo per il cinema senza la necessità di chiedere prestiti in giro.

Ricordo cosa diceva Alberto Moravia a proposito di letteratura e di cinema – molti suoi libri, anzi sarebbe meglio dire molte sue storie sono finite sulla pellicola –, che affermava che un film deve per sua natura essere diverso da un libro – fatto appunto che non lo scandalizzava affatto ma che lo interessava moltissimo –utilizzando tutt'altro linguaggio, per giunta nuovissimo rispetto a quello letterario millenario.

Oggi, con il prepotente avvento delle piattaforme digitali on-demand, lo sceneggiatore non è più uno sceneggiatore, cioè non deve più all'immagine la sua arte di riduzione perché con le serie televisive – che hanno ucciso il Cinema e tutto il senso di fare cinema – lo sceneggiatore può tranquillamente limitarsi a prendere un libro e a metterlo paro paro per immagini, tanto ha a disposizione tempo e spazio sufficienti per metterci dentro anche quelle inutili.

È ciò che succede nella serie NetflixLa vita bugiarda degli adultidi Edoardo De Angelis, autore, al Cinema, di due film che sono tra i migliori prodotti in Italia negli ultimi dieci anni: Indivisibili(2016) e Il vizio della speranza (2018), la sua ultima produzione cinematografica essendo il regista napoletano poi passato alla realizzazione di serie televisive prima per la Rai, riproponendoalcuni capolavori di Eduardo, e in ultimo questo suo lavoro per la piattaforma americana.

De Angelis nei lavori cinematografici citati è stato capace come nessuno oggi di rendere la realtà sociale partenopea con fedeltà e senza mai eccedere nella caratterizzazione dei suoi personaggi: il cinema di De Angelis è un cinema verista che, appunto, dal vero riduce le sue storie in film.

Ma in questa sua fatica "americana", per i motivi esposti all'inizio dell'articolo, cioè per via di questa materia espansa che offrono le piattaforme in streaming agli autori di tutto il mondo, quindi per questa mancanza di concentrazione della sceneggiatura, ritroviamo la caricatura per dilatazione del personaggio napoletano, da quello della alta borghesia del Vomero ai viventi nei bassi dei Quartieri Spagnoli o nella sparsa periferia partenopea. Una produzione così troppo napoletana da non sembrare genuina ma artificiale, persino nella recitazione, tanto da non credere napoletani due dei protagonisti, cioè Alessandro Preziosi (Napoli, 1973) e Valeria Golino (Napoli, 1965), perché il loro dialetto è così recitato da non credere sia la loro lingua madre, la lingua più musicale e bella del mondo, il sacro napoletano, lingua Koinè che abbraccia tutto il golfo campano, da Caserta a Salerno, le cui sonorità si estendono dall'Abruzzo alla Basilicata.

Eppure siamo di fronte a una produzione tutta alla napoletana, perché la (non) sceneggiatura è scritta, oltre che da De Angelis, da Elena Ferrante (Napoli, la serie è tratta dal suo romanzo omonimo), Francesco Piccolo (Caserta, 1964), con una incursione della pesarese Laura Paolucci, sceneggiatori e scrittori affermatissimi che con quattro teste e ben otto mani a disposizione riesco a mettere insieme un improbabile interno comunista borghese con figlia androgina (nonché la non più sopportabile voice-over, che marca davvero in negativo la qualità di una sceneggiatura: vizio che appesta l'arte cinematografica dall'avvento del sonoro) e madre-sorella reietta al seguito perché puttana dimenticata nella periferia di Napolidove tutto accade con infantile prevedibilità, compresi corna e pentimento, sega maldestra ed eiaculazione precoce, tutto fatto in casa e dove della napoletanità si fa frusta macchietta, e la sua lingua scontata, fino alla più volgare parolaccia nella disperata ricerca di un verismoche, così forzato, finisce per perdere tutte le sue possibilità di verosimiglianza: qui lo stereotipo regna fiero e sovrano.

Questo sarebbe il genio della Ferrante?

Gli sceneggiatori italiani erano i più bravi al mondo.

Gli sceneggiatori italiani scrivevano, concentrati nella loro arte di riduzione, film per il Cinema: scrivevano immagini e dialoghi, questi appunto per scongiurare rovinose voice-over.

Spero che De Angelis torni presto alla forma cinematografica.

Spero si torni a fare cinema per il Cinema e non per pagare la villa vista mare a Posillipo.

MASSIMO RIDOLFI