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SergiodascenzoL’Associazione Kerjgmadi Isola del Gran Sasso è stata tra le prime organizzazioni benefiche a soccorrere il popolo ucraino perché godeva già di una lunga attività di sostegno nei paesi confinanti lasciati nella povertà più assoluta dal disastroso crollo dell’Unione Sovieticache ancora si riverbera nella tragedia di questi giorni, in particolare agendo in Moldavia e Romania.

Per questo ho chiamato a una testimonianza dal Vero Sergio D’Ascenzopresidente dell’AssociazioneKerjgma,che si è reso subito disponibile, che mi ha raggiunto a casa per dirmi, per esperienza, a cosa servono gli occhi, le orecchie, le braccia, le gambe e il cuore di fronte alla povertà e alla guerra.  

*** *** ***

Che cos’è la povertà?
La povertà è il frutto della diseguaglianza fra i popoli e la gente,frutto di egoismo e della mancata applicazione del principio cristianodi equità. Che poi è quello che ci dice Paolo di Tarso,scrivendo ai Corinzi: non ci sia tra voi chi abbia del superfluo e chi manca del necessario. (2aCorinzi 8,15).


Dove l’hai incontrata per la prima volta la povertà?
L’ho incontrata molte volte, ma qui voglio ricordare quando è successoin modo esteso e sconvolgente. Mi riferisco alla mia esperienza in Moldavia iniziata nove anni fa quando una nuova e inattesa amicizia mi sfidò a partecipare a un suo progetto. Il mio nuovo amico, di origine rumena ma cresciuto a Roma per oltre vent’anni, aveva deciso di abbandonare la Capitale e la sua redditizia attività per tornare in Romania con sua moglie e i loro due figli per occuparsi della povertà moldava, distante dalla sua terra di origine di pochi chilometri. Rimasi folgorato dalla proposta,tanto che dopo pochi mesi lo raggiunsi in compagnia di un caro amico, Angelodiventato mio fedele accompagnatore.Visitai gran parte delle campagne del nord della Moldavia e mi ritrovai di fronte a una povertà di un livello eestensione inimmaginabili. Cominciai allora un vero e proprio interrogatorioal mio amico e alla gente del posto per conoscere più a fondo la realtà che mi si parava davanti. La Moldavia era e resta una nazione uscita devastata dal disciogliendo dell’URSS. Infatti, all’indomani della dichiarazione di indipendenza, i russi abbandonarono la Moldavia portando via con loro tutta la tecnologia, lasciando loro solo zappe  e vanghe, quindi nessuna possibilità di sviluppo e di autonomia economica: il primo dei soprusi subiti dal popolo moldavo per la loro scelta di indipendenza dalla Russia.
E questo 
fu solo il primo di una lunga serie di miei viaggi in Moldavia.
Quella 
moldava è una terra, da un punto di vista agricolo, molto fertile, ma, essendo così fredda,limitala coltivazione frutteti. Purtroppo negli anni la situazione economica è addirittura peggiorata causa il controllo russo sempre più stringente sulla agricoltura moldava attraverso i latifondisti che, per loro conto, hanno, sostanzialmente, costretto i contadini moldavi a vendere la propria terra a prezzi stracciati e quindi a lavorare per gli interessi russi a condizioni contrattuali insostenibili. Immaginate che è come se in Italiauna famiglia dovesse vivere con uno stipendio di 50 o, al massimo, 100 euro al mese,e spaccandosi la schiena giorno e notte.
Mi sono sempre 
chiesto come fosse possibile cheil governo non intervenisse a protezione dei propri contadini e, di conseguenza, della propria agricoltura. E la spiegazione sta nel fatto che, evidentemente, la Moldavia ha ereditato dalla vecchia Unione Sovietica anche la profonda corruzione politica, con una conseguente incredibile instabilità di governo, che si rinnovasostanzialmente ogni anno attraverso scioglimento anticipato delle camere e nuove elezioni.


Cosa c’era di più durante il regime comunista in Moldavia?
In Moldavia nessuno rimpiange la caduta dell’URSS, cioè di quando stavano addirittura peggio di come ho fin qui descritto. Anzi: lì c’èun continuo tentativo di combattere la vecchia eredità comunista, nella quale lo Stato pretendeva di pensare in tutto e per tutto al tuo posto, senza lasciare al cittadino alcuna libertà di iniziativa personale.Tant’è che in quei territori siamo impegnati anche nella promozione della microeconomia e nella formazionealla piccola imprenditoria.


C’è una situazione di povertà che più di tutte ti ha ferito?
Mi chiedevo come mai non si temessero furti. Spesso si trovano porte senza neanche le serrature. O si vedono in strada vecchie LADAdi fabbricazione russa con le chiavi inserite nel cruscotto. Poi ho capito: in un quadro di tale drammatica povertà, case fatiscenti, strade dissestate, tetti di eternit, pozzi a uso comune dove attingere acqua più o meno potabilemancanza di quasi tutti i servizi pubblici, non c’è nulla da rubare.
Anzi, una cosa da rubare c’è, 
purtroppo, ed è diventata la fonte di reddito più importante della malavita locale: bambine di 12, 13 anniche sono strappate alle loro famiglie e destinare per tutta la vita al mercato della prostituzione internazionale. In Moldavia ciò continua ad avvenire senza un efficace intervento governativo, e senza capacità di difesa dal basso, vale a dire da parte dellefamiglie. 
Il sistema che alimenta l’economia della malavita locale
, si concretizza nel preparare alla prostituzione queste bambine rapite, rinchiusein campi di concentramento nascosti al mondodaiquali usciranno solo dopo che le violenze subite le avranno rese un “prodotto pronto per rimpinguare di carne fresca il mercatodella prostituzione internazionale, cioè quando sono completamente annichilite e sottomesse ai loro carnefici. Queste bambine che non rivedranno mai più le proprie famiglie, fino alla fine dei loro giorni.
Raccontarlo non mi è 
facile, perché fa male, ma anche perché hosubito a riguardo delle minacce affinché smettessi di testimoniare quello di cui sono a conoscenza.


Affrontare la povertà è quindi rischioso?
È rischioso su più piani. Intanto quello citato, essendo stato minacciato telefonicamente perché la smettessi di raccontare della tratta delle bambine moldave. Nello specifico un sedicente imprenditore italianomi ingiungeva di smetterla perché così facendo rovinavo i suoi interessi in Moldavia. Su un pianopiù personale, invece, il rischio riguarda la propria visione della vita, vale a dire che vivere costantemente nel corso degli anni il confronto con una realtà così drammatica, ti costringe a modificare la tua stessa esistenza e la concezione di ciò che è davvero importante ed essenziale, fino aradicale rifiuto per la ricerca e l’ostentazione della ricchezza, combattendo l’egoistico disinteresse per la povertà, perfino quella del vicino di casa.



Difatti, c’è
 molta povertà anche nel nostro Paese, ma riusciamo ancora a nasconderla troppo bene. Che differenza c’è, sostanzialmente, tra un povero italiano e un povero dell’Est, di chi prima faceva parte dell’Unione Sovietica o delle altre repubbliche socialiste?
L’AssociazioneKerjgmadi cui sono presidente, nata nel nostro paesino di Isola del Gran Sasso oltre venticinque anni fa come braccio operativo della comunità evangelica del posto, è venutaalla luce con lo scopoproprio di contrastare la povertà della nostra gente, del vicino di casa appuntoMa l’esperienza successiva della drammatica povertà in Moldavia,hain effetti evidenziato alcune grandi differenze.
Intanto per estensione, 
considerato che in Moldavia la povertà è un fenomeno che coinvolge l’intera nazione. Apparentemente le uniche eccezioni sono rappresentate dalle poche cittàpresenti, Chisinau, TiraspolBalti e Tighinadove vivere appare più agevole, ma ci sarebbe molto da chiedersi sulle reali fontieconomiche che permettono in queste località una esistenza migliore, tutt’altro che limpide.
Ma
per meglio comprendere le sostanziali differenzeche ci sono tra la povertà italiana e quella moldava, può aiutarci immaginare la Moldavia come se fosse l’Italia rurale e disperata del Secondo dopoguerra. La Moldavia sembrainfatti, a guardarla da vicino come ho fatto io,una nazione economicamente, socialmente e strutturalmente appena uscita dilaniata dalla Seconda guerra mondiale.



Attualmentequali attività svolgete, in concreto, per aiutare la popolazione moldava?
In questi anni abbiamo lavorato in più ambiti e in varie aree, in particolare nel territorio centro-nord della Moldavia. L’attività si concretizza con la distribuzione capillare di beni di prima necessità nei villaggi ruralisupportando contemporaneamente la microeconomia famigliare, magari acquistando una mucca da latte al contadino, utile alla propria famiglia ma anche a quella del suo confinante; oppure comprando un piccolo appezzamento per fare l’orto. In Moldavia, aiutando,insegniamo la solidarietà verso il prossimo, a cominciare dal proprio vicino di casa. 
Inoltre creiamo attività di
 accoglienza e di supporto alla didatticanelle scuole dei villaggi.
Il nostro 
obiettivo è di cercare di migliorare le condizioni divita di questo sfortunatissimo popolo, per poi proseguire la nostra missione nelle altre aree maggiormente disastrate, una volta consolidata la rete locale di solidarietà. Difatti, da un annola nostra azione in Moldavia è stata in gran parte ridotta per occuparci della popolazione ucraina, ma mantenendo l’invio di beni di prima necessità per aiutare la povertà moldava ad accogliere comunque e dare il primo sostegno di sopravvivenza agli ucraini fuggiti verso la Moldavia, rifugio a loro più prossimo.



Che cos’è la guerra e quali sono i suoi effetti sulla popolazione civile?
La guerra è la devastazione materiale e psicologica di una popolazione sottoposta all’imposizione di un conflitto non voluto e non richiesto.
La notte del 24 febbraio 2022 ero a 
VarfuCampului, Romania, dove c’è il nostro centro di smistamento degli aiuti, realizzato in collaborazione con il centro Maranata per l’Europa dell’est, distante solo 20 Km dalla dogana rumeno-ucraina di Siret. Stavampreparando un camion di aiuti per la Moldavia. Ero quel 24 febbraio con il mio amico e collaboratore EmanuelBesleaga – fu lui che lasciò dopo più di venti anni Roma per tornare verso la sua terra di origine ad aiutare i più poveri, invitandomi a unirmi a lui –, il quale ricevette la telefonata di un suo vecchio amico, un importante personaggio politico ucraino, che gli chiedeva cosa potessimo fare per loro alla luce della guerra appena scoppiata, conoscendo le nostre attività umanitarie pluriennali.
Allora ci mettemmo imm
ediatamente a disposizione per correre in soccorso del popolo ucrainoinviando in poche ore dei TIRcarichi di aiuti a Cernauti, Ucraina, zona a sud-ovest del paese distante dal conflitto, ai confini con la Romania, dove i nostri storici collaboratori delle chiese evangeliche ucraine stavano già organizzando la distribuzione e facendo le prime accoglienze.
La storica collaborazione 
con il popolo ucraino si spiega in molti anni di invio di beni di prima necessitànelDonbass, destinatia un milione e mezzo di persone isolate tra i due schieramenti inguerra, ucraini contro filorussi,già dal 2014guerra prodotta daltentativo “sovietico” di riappropriarsi già allora di quella regione.


Cosa è successo e cosa sta ancora succedendo in Ucraina?
A distanza ormai di un anno, l’escalation della guerra è stata tanto drammatica quanto devastante. Man mano che lo scenario di guerra si allargava, cresceva la consapevolezza nella popolazione ucraina di quello che stava accadendo; tant’è che, già il giorno dopo l’inizio dell’occupazione russa, alla dogana di Siret si era creata una coda di persone che cercava di fuggire dall’Ucraina verso la Romania. I primi a riuscirci erano, ovviamente, i più vicini al confine ma soprattutto quelli che erano nelle condizioni economiche e logistiche per farlo. Assistere a quella moltitudine di persone, soprattutto donne e bambini, serrate in fila, sia di giorno che di notte, nel gelo di fine febbraio, era davvero doloroso. Nello scenario della dogana feriva vedere non tanto chi era comunque al caldo della propria autovettura, ma le madri in strada che stringevano i propri figli cercando di ripararsi con una coperta dal freddo e dalla neve, procedendo lentissimamente nella coda che si era formata al passaggio della dogana di Siret, impreparata a un tale flusso di gente e di disperazione. Gli aiuti spontanei e istituzionali della Romania si stavano già organizzando, arrivando numerosi ed efficaci nei giorni a seguire. Ho assistito a una capacità di accoglienza della popolazione rumena in tutta l’area incredibile e meravigliosa.
Infatti, t
ornai il giorno dopo a vedere come aiutare gli ucraini accalcati nel tendone montato nell’area di servizio a ridosso della dogana di Siretma, con mia grande sorpresa, la trovai vuota. La trovai vuota perché c’era stato un moto generoso da parte del popolo rumeno, il quale, dopo aver portato in un primo momento bevande calde e cibo per i profughi, ritornarono con le macchine e i furgoni per sottrarli dall’addiaccio e accoglierli nelle proprie case.
Da quel momento cominciai a esser
e tempestato di telefonate e messaggi da parte di amici, conoscenti e associazioni di volontariato che, collegati o contattati a vario titolo da ucraini già presenti sul territorio italiano, che cercavano di aiutare i propricongiunti che fuggivano dalla guerra, si rivolgevano a me per capire in che modo potessi aiutarli. Ne seguirono vari contatti da parte di questi ucraini in fuga e quando si trovavano a ridosso di Siret, li raggiungevamo, li portavamo nel nostro centro consentendo loro di nutrirsi, lavarsi e dormire, per poi decidere verso quale direzione proseguire per continuare la loro fuga il più lontano possibile dalla guerra. In quella prima fase di organizzazione degli aiuti umanitari destinati al popolo ucrainoaggredito nelle proprie case dall’esercito russo, ebbi modo di sfruttare le mie conoscenze e i contatti di lungo corso nel mondo del volontariato italiano al fine di portare più gente possibile in salvo.
Pot
rei raccontare di Danilo, Paolo, Simona, ma sarebbe una lunga lista. Loro sanno.
Ne seguirono
 infatti, grazie anche a loro, veri e propri viaggi della speranza, con furgoni che partivano daTeramo, da Giulianova, daIsola del Gran Sasso, ecc., che ci raggiungevano nel nostro centro di VarfuCampului, dove i soccorritori provenienti dalla provincia di Teramo mangiavano, si riposavano e poi ripartivano con un caricodi disperazione fatto di donne e bambini ucrainidiretti in Italia, lontano dalla guerra, assicurando loro registrazione, accoglienza e prima sistemazione.
Ci rendemmo 
anche ben presto conto che mentre i nostri TIR dal centro di smistamento passavano la doganadi Siret senza problemi, grazie al permesso rilasciatoci dal personaggio politico ucraino con cui eravamo in contatto fin dai primi momenti del conflitto, molte altre associazioni e persino enti internazionali restavano per giorni e giornicon il loro carico bloccati alla dogana senza riuscire ad attraversarla.Questo produsse uno strano effetto, cioè che diversi di questi carichi fermi in attesa alla dogana, furono portati al nostro vicino centro si smistamento, scaricati lì e quindi affidati alla nostra cura. Ne seguiva che il carico eraimmediatamente messo su TIR ucraini e condotti allora da noi a destinazione. La settimana successiva, però, ci rendemmo conto che per poterrispondere più efficacemente alla richiesta di auto del popolo ucraino, era necessario sensibilizzare l’opinione pubblica italiana del problema, almeno i cittadini nei territori di nostra competenza. Così concordammo con Emanuel che io ripartissi per l’Italia a questo scopo, mentre loro continuavano il lavoro sul posto. Tornato a casa notai con piacere che a Isola del Gran Sasso era stata già organizzata con il Comune una raccolta di aiuti pro Ucraina. Però, mi resi ben preso conto che il nostro piccolo comune montano non avrebbe mai potuto rispondere quantitativamente all’enorme e crescente bisogno di aiuto che c’era in Ucraina. A quel punto contattai il Sindaco della Città di Teramo, che, conoscendo la nostra pluriennale attività di volontariato in Moldavia,si mise subito a disposizione consentendoci intanto l’usodella scuola dismessa di Contrada Viola, ma già dal giorno dopo, grazie all’enorme risposta della popolazione teramana, ci trasferimmo nei capannoni della ex Villeroy, dove tuttora continua la nostra raccolta, stoccaggio e invio di aiuti diretti in Ucraina. Ben presto, da Cernauti, proseguimmoall’interno del territorio ucraino conducendo i nostri TIR verso Bucha, Kiev – nella sua sofferenza ma con un brulichio continuo di piccoli e grandi cantieri montati dopo ogni bombardamento russo per la sistemazione dei danni,a garanzia di un veloce ripristino delle infrastrutture –CharkivChersonMykolaïv, ecc.  La devastazione era ovunque nelle zone coinvolte dai combattimenti, ma nella piccola Bucha era più impressionante perché ci si trovava davanti a una città completamente rasa al suolo, e con numerosissimi carri armati russi distrutti oabbandonati sulle strade dissestate dall’esercitdi Mosca in fuga. Lo spettacolo tetro che offrì ai nostri occhi la devastata Bucha, ci mostrava la sistematica ferocia distruttivadei russi scaricata sulle abitazioni civili. Camminavamo tra le macerie e sentivamoquell’intenso odore di carne umana carbonizzata, che ti resta dentro, che ancora sento.Vedevamo frammenti umani tra le rovine delle case. Vedere Bucha è stato davvero una esperienza provante.Che non dimentichi. Come sappiamo, è passato un anno, ho portato personalmente più carichi di aiuti umanitaridirettamente in Ucraina, ho visto scenari di guerra difficili da raccontare, ma non riesco a vedere la fine di questa follia perché si continua a combattere, aCharkivChersonMykolaïv, dove, quando ci ho dormito, in realtà ho riposato per pochi minuti, nelle pause tra un bombardamento russo e l’altro, al buio e la freddo, stando attento anche all’uso della torcia elettrica per non facilitare il lavoro dei cecchini, scampando io stesso un bombardamento russo a Charkiv, in una piazza dove ero stato solo qualche ora prima che una bomba russa la distruggesse completamente: oggi la città di Charkivha interi quartieri rasi al suolo e dati alle fiamme. Ho visto donne in evidente stress postraumatico da guerra accampate davanti a quelli che erano gli ingressi delle palazzine dove abitavano, pur essendo rase al suolo o completamente distrutte dalle fiamme, credendo di poterci rientrare.



Gli ucraini che hai incontrato e cheincontri, cosa ti raccontano per prima cosa?
Potrei riassumere quello che mi dicono in tre atteggiamentirisentimento, prostrazione e speranza.
Risentimento perché arrabbiati per una guerra che non hanno chiesto, 
che non vogliono e che continuano a subireper questa folle aggressione russa.
Prostrazione perché stanchi, annichiliti da dolore emotivo, dai lutti, dagli stenti, persino dall’impossibilità di poter
si lavare, dal dover continuamente adattarsi in nuovi rifugi di fortuna, e dal non riuscire a vedere la fine di questa follia.
Speranza
, quella di vincere, pur non capendo come; ma soprattutto la fiduciosa speranza impressa nei loro volti, che si riaccende ogni volta che sono raggiunti da qualche “pazzo” che ha percorso migliaia di chilometri per portare loro aiuto.   

 

E cosa ti chiedono per prima cosa?
Non chiedono nulla. Ringraziano solamente, con le lacrime agli occhi, qualsiasi cosa seiandato a offrirgli. Semmai chiedono di non abbandonarli, di non smettere di aiutarli, di restare loro vicininell’attesa e nella speranza che questa follia termini presto per potersi ricongiungere ai propri cari.

Cosa ti ha più colpito di quelloche sta succedendo in Ucraina?
Pensare che la guerra è il prodotto della follia umana, che non ha giustificazione e produce solo dolore e morte fra i civili. È pensata da menti folli che non danno nessun valore alla vita, soprattutto a quella della povera gente. Mi hanno colpito i volti sconvolti dal dolore, la disperazione di chi si è ritrovato improvvisamente senza più nulla e senza capire perché.


Credi sia possibile oggi tornare a vivere in pace tra ucraini e russi?
Nesono profondamente convinto, purché la spinta della propaganda che sostiene la follia della occupazione russa smettadi alimentare la divisione dei due popoli per ragioni tanto assurde quanto stupide. Gli ucraini, che fin da bambini imparano a scuola sia la loro lingua che quella russa, che hanno la stessa cultura dei russi, che hanno lavorato fino a prima della guerra fianco a fiancocon i russi, non avrebbero alcun problema per tornare a fraternizzare in una Ucraina liberata, superando gli effetti di questa folle guerra.


Cosa ti ha spinto, otto anni fa, verso la più profonda povertà?
Un moto interiore, irrefrenabile, nell’imitare il sommo Maestro, Cristo che insegna: fare per gli altri quello che vorresti che gli altri facessero per te.

MASSIMO RIDOLFI


PH
.: Sergio D’AscenzoMykolaïval confine con l’oblast delDonesk, febbraio 2023.

Riferimenti Centro Raccolta Associazione Kerjgma

Magazzino presso capannoni ex Villeroy

Via PotitoRandi (di fianco alla pizzeria La Stazione)

Apertura: Lunedì, dalle 15 alle 19:30 (consegne estemporanee su richiesta).

Contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - +39 3487250411

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