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arrosticiniIn un Abruzzo sempre più alle prese con la desertificazione demografica delle aree interne, la protesta dei pastori a L’Aquila non è solo un grido d’allarme per la Blue tongue, la malattia virale che sta decimando gli ovini. È, più profondamente, il segnale di un sistema che rischia di sgretolarsi: quello della pastorizia, uno dei pilastri identitari e produttivi della regione. Meno di mille pastori sono rimasti in Abruzzo, e molti di loro ieri hanno lasciato i pascoli per manifestare davanti alla sede della Regione. La Blue tongue è solo l’ultima calamità in ordine di tempo, ma l’elenco delle difficoltà è ben più lungo: costi di gestione insostenibili, burocrazia opprimente, infrastrutture carenti, assenza di una strategia di rilancio per le aree interne. Il virus, quindi, è solo la miccia. Il fuoco covava da tempo.

Eppure la pastorizia abruzzese non è un comparto qualsiasi. È storia, cultura, economia e paesaggio. È il profumo degli arrosticini, la stagionatura del pecorino, le mani che filano la lana vergine. È la custodia di un territorio fragile, fatto di transumanze e di borghi sospesi nel tempo. È anche presidio ambientale: dove pascola una pecora, non arriva il cemento.

Il rischio non è solo economico, ma simbolico. Come ha detto il direttore della Coldiretti, la chiusura di una stalla è la fine di un ecosistema: non solo animali, ma saperi, cibo, socialità. Non possiamo raccontare la storia dell’arrosticino come fiore all’occhiello del “Made in Italy” e poi voltare le spalle a chi lo rende possibile, giorno dopo giorno, sui monti e negli stazzi.

La Regione ha annunciato ristori e vicinanza. È un primo passo, ma servirà molto di più: indennizzi tempestivi, campagne vaccinali capillari, semplificazione normativa, zone franche per la movimentazione del bestiame e un piano straordinario per la rigenerazione delle greggi. Ma soprattutto, serve una visione. La pastorizia non può più essere trattata come un comparto marginale, bensì come un bene strategico da proteggere, alla stregua di un patrimonio culturale o paesaggistico.

Se l’Abruzzo vuole davvero salvare i suoi simboli – e con essi una parte insostituibile della sua anima – deve agire ora. Con coraggio, velocità e rispetto. Perché senza pastori, non ci saranno più arrosticini. E senza arrosticini, saremo tutti un po’ più poveri. Culturalmente, economicamente, umanamente.

Elisabetta Di Carlo