Che cos’è il talento? Estro, genialità, creatività, inventiva… certo, ma il talento vero, quello vero vero, è soprattutto umiltà. È quel curioso miscuglio a filo d’anima, che ti fa sentire sempre un po’ miracolato dal fatto di riuscire a fare quello che da sempre sentivi di dover fare, facendone anche ragione di vita e lavoro. Lo dico perchè, nei miei 40 anni di giornalismo, ho avuto la fortuna di incontrare molti “talenti”, più o meno veri, pochissimi veri veri. E quelli, i veri veri, erano umili. Come Alberto Sordi, che mi vide spaurito cronista ventiduenne e mi invitò a cena; come Pierangelo Bertoli, incontrato in bar nel quale restammo a chiacchiera per due ore; come tantissimi altri che sarebbe impossibile ricordare. Non citerò i talenti fake, quelli che vivono il lampo di magnesio di un’improvvisa popolarità, e ne fanno strumento di sproporzionata autoesaltazione. Gente come Riccardo Scamarcio (sì, lo so, non volevo fare nomi…), che per i miei articoli arrivò ad affrontare a brutto muso i miei collaboratori, o Gabry Ponte con la sua esibizione civitellese annullata all’improvviso. Perché ho scritto tutta questa tiritera? Perché ieri sera, nella bellissima Villa Iachini a Giulianova, ero tra i settanta ospiti di una serata che i padroni di casa, Francesca e Franco, hanno voluto dedicare ad un talento vero, ma vero vero, ma vero vero vero, così vero che pur essendo teramano e orgoglioso di esserlo, la Teramo ufficiale, quella che gongola inaugurando festival dell’arrosticino, di lui sembra non essersi mai accorta.
Si chiama Luca D’Alberto, è un compositore, scrive colonne sonore e lavora per Hollywood. No, non è un modo di dire per evocare il mondo del cinema, è Hollywood davvero, quella dei grandi studios, quella delle grandi produzioni, quella che gli ha affidato la colonna sonora di un film diretto da un monumento come Peter Greenaway e interpretato da un attore che ha deciso che questa sarà la sua ultima fatica attoriale, perché ha quasi novant’anni, due Oscar sul camino, e si chiama Dustin Hoffman.
Sotto gli alberi altissimi della Villa, in un’area trasformata in una sorta di arena cinematografica arricchita dalla tecnologia delle stesse cuffie dei concerti silenziosi, il poco più che quarantenne Luca D’Alberto, con l’amorevole vicinanza della moglie Gaia Tullj (e se nel cognome intuite l’eco di una dinastia di talentuosi artigiani teramani della carrozzeria, fate bene), ha offerto un viaggio nella sua carriera, dai primi lavori per Michele Placido, ai balletti di Pina Bausch, dagli spot minifilm della Apple alla colonna sonora di Wimbledon, dai suoi premiatissimi album alle collaborazioni con artisti di fama mondiale…alle due candidature ai Grammy, ma tutto raccontato con umiltà, anzi: con quella stessa meravigliata (e meravigliosa) capacità di stupire e stupirsi, che ebbi modo di leggere nei suoi occhi tanti anni fa, in un’altra serata magica, stavolta nella cantina di Porta Romana, dove avevo accompagnato l’allora vicedirettore del Resto del Carlino e dove, a fine cena, un ragazzo seduto in un altro tavolo aveva preso il suo strumento e s’era messo a suonare. Lo conoscevo già, era uno dei tanti talentuosi teramani, come Carmine Di Giandomenico (anche lui non a caso ospite ieri sera a Villa Iachini), che stavano cominciando un loro viaggio straordinario. «Dove vuoi arrivare, Luca?» gli chiesi, «Ad Hollywood…» mi disse. Non lo sapeva, ma quella risposta non era una speranza, era solo un appuntamento.
Antonio D'Amore