«Teramo deve darsi una svegliata, e decidere cosa vuole diventare, cosa vuole essere, quale sia la sua vocazione, l’hanno fatto L’Aquila e Pescara, ma Teramo stenta…». Non è la prima volta, che il Magnifico Rettore dell’UniTe invoca un cambio di passo da parte della città. Un’invocazione che è di ruolo e di cuore, da Rettore, certo, ma anche e forse soprattutto da teramano, cioè da figlio di una città che, da tempo, patisce per la mancanza di una visione possibile, di un destino raggiungibile, di una vocazione. Ecco sì, la vocazione: Teramo non ne ha una e si attorciglia nel gioco ibridante dei tentativi a raffica, disperdendo energie, tempo e soldi. La novità, stavolta, è che nella conferenza stampa sull’avvio dei lavori all’ex Manicomio, Corsi ha fatto un passo avanti, rompendo gli indugi “Se Teramo non ha il coraggio delle scelte, lo avrà l’UniTe, che si farà motore della rinascita e seme della vocazione”. Con l’avvio dei lavori annunciato oggi, prende forma un progetto simbolico e concreto insieme: un ponte tra ciò che Teramo è stata e ciò che vuole diventare. Una città che riscopre la propria identità. Una comunità che investe su giovani, sapere e inclusione. Un centro storico che torna a essere cuore pulsante e non ricordo sbiadito. La Cittadella della Cultura sarà tutto questo: una promessa mantenuta, una visione condivisa, un nuovo inizio per la città. Un cuore nuovo, costruito nel rispetto della memoria e con lo sguardo rivolto al domani. L’idea che guida la Cittadella è semplice e rivoluzionaria: far dialogare recupero degli spazi e valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale. Non un contenitore, ma una rete. Non una struttura isolata, ma un sistema che ridisegna la città, offrendo nuove modalità di fruizione e creando opportunità di sviluppo socio-economico. È un progetto che si radica nella bellezza per generare futuro. Che punta sulla cultura come motore di competitività. Che immagina un centro storico più vivo, attrattivo, contemporaneo.

