Non è solo una laurea.
È molto di più.
Quella che oggi il Magnifico Rettore dell’UniTe ha consegnato a Milo Manara, non è solo una laurea, impreziosita dall’honoris causa.
È una bandiera, di più: una rivincita sulla storia e sui singhiozzi culturali di un Paese che, da sempre, considera il fumetto arte figlia di un dio minore, e quello erotico, poi, figlio neanche di un dio.
Eppure, basterebbe invocare i padri greci, per ricordare quanta e quale sia la distanza tra l’erotismo e la pornografia, perché quest’ultima evoca la “pornè”, il lavoro delle meretrici, essendo figlia di porneo, verbo del vendere, mentre l’erotismo invoca il sublime, l’emozione a filo d’anima. Il divino. Eros, era un dio. Di quel dio è figlio in arte Milo Manara, artista irripetibile (ma non diteglielo, perché vi citerebbe una mezza dozzina di colleghi che considera migliori), al quale oggi, con un atto di quel coraggio che fa di un evento un momento storico, l’UniTe ha voluto assegnare la laurea honoris causa. Che non è solo una laurea, ma una bandiera.
Di libertà.
«Da sempre la visione artistica di Milo Manara si è espressa senza timore di esplorare territori complessi e provocatori, non senza generare discussioni e polemiche. Così come avviene per qualsiasi produzione intellettuale, inclusa quella visiva, la cui essenza è proprio sfidare, stimolare, mettere in discussione, proporre nuove letture della realtà - ha detto il Rettore Corsi - come Ateneo pubblico, noi difendiamo con forza questo principio, perché la libertà intellettuale e la libertà artistica non sono semplici enunciazioni di valore, né formule retoriche da affidare ai protocolli ufficiali. Sono, al contrario, condizioni indispensabili affinché la cultura possa davvero crescere, evolversi, innovare, restare viva e capace di parlare al nostro presente e, soprattutto, al nostro futuro».
E non solo, perché quella libertà va difesa, trincerata, blindata: «Un’Università che rinuncia a proteggere la libertà del pensiero creativo e della ricerca critica non è più un’Università ma diventa un luogo svuotato della sua funzione storica - continua il Magnifico - La libertà, per noi, non è un concetto astratto ma un principio operativo, concreto, quotidiano. È ciò che permette ai ricercatori di esplorare territori nuovi senza timore di sconfinare, è ciò che consente agli artisti di interrogare l’immaginario collettivo e proporre visioni innovative, anche scomode e provocatorie, è ciò che offre alle studentesse e agli studenti l’opportunità di costruirsi un pensiero autonomo, capace di giudicare e di discernere, di essere critico e anche immaginativo».
La laurea a Milo Manara ridefinisce i contorni della cultura, non limitandosi all’accettazione modaiola, che da sempre accompagna il (finto) plauso che l’ “opinione pubblica” riserva a chi, per quanto scomodo, è famoso da un po’ di anni, ma sublimandone l’arte, elevandola oltre i perimetri delle nuvole parlanti e premiandola col più importante dei riconoscimenti di quella che, per lo stesso Manara, è la più importante istituzione culturale italiana: l’Università.
Quant’è lontana, oggi, la Teramo nella quale io, allora trentenne cronista col vezzo della provocazione (che non ho mai perso), volli organizzare - in dichiarata polemica col Premio Teramo - un premio per la letteratura erotica.
Si chiamava “Porco chi scrive, porco chi legge”, e cercai Milo Manara perché assumesse il ruolo di presidente. Accettò subito, appena glielo proposi al telefono, gratuitamente, senza sapere neanche chi fossi, ma solo perché gli piaceva l’idea. La città, all’epoca dominata dalla Dc, non comprese. Così come non comprese la “Cultura” nazionale, tanto che mi ritrovai attaccato da Panorama (“Italia a luci rozze”), da Repubblica (“Non hanno le ali i porcellini di Teramo”), perché no, non poteva esserci cultura nell’erotismo, né letteratura nei “racconti di sesso” e poi, figuriamoci, un “fumettaro erotomane” come presidente.
Trovai porte chiuse ovunque, tranne che nella casa editrice Interlinea, che sposò il progetto, e in due uomini politici, due assessori alla Cultura, di Provincia e Comune, Italo Di Dalmazio e Oscar Tancredi, che a titolo personale e anche - nel caso di Oscarino - attirandosi le ire del partito, cercarono di fare in modo che quel premio avesse una sede per la cerimonia finale e una cena per i premiati.
Avevo chiesto una stanza all’Università, ma me l’avevano negata.
Fu una giornata indimenticabile, per me, ma dimenticata in “flagranza d’evento” da tutta la città ufficiale, quella dell’ipocrisia provinciale un tanto al chilo e, ahimé, da molti miei colleghi (che ovviamente non ho mai considerato tali).
Ripartendo da Teramo, Milo mi dedicò il suo disegno del logo del premio “in ricordo della spericolata avventura” e mi disse: «Verrà il giorno in cui si accorgeranno di quello che stiamo facendo, ci vorrà tempo… ma verrà».
Quel giorno è oggi, dottor Milo.
Antonio D'Amore

