
Dieci euro di biglietto. Uno e cinquanta di commissione POS. All’Arca, per la mostra su Caravaggio, succede anche questo: chi paga con la carta si vede caricare un sovrapprezzo che sfiora il 15% del costo del titolo d’ingresso. Non un arrotondamento, non un centesimo “tecnico”, ma una vera e propria tassa occulta sull’uso della moneta elettronica. A segnalarlo a certastampa è un lettore, che è stato a vedere la mostra e ha scoperto la cosa. La cosa paradossale è che accade in totale controtendenza rispetto a ciò che oggi prevede il mercato dei pagamenti digitali. Per i pagamenti sotto i 15 euro, infatti, molte convenzioni bancarie — soprattutto quelle stipulate tramite associazioni di categoria — azzerano le commissioni. Altre applicano percentuali minime: dallo 0,94% all’1% per bancomat e carte consumer. Tradotto: su un biglietto da 10 o 15 euro, il costo reale per l’esercente oscilla tra pochi centesimi. Nell’ordine dei 7–12 centesimi, non certo di un euro e mezzo. E allora la domanda sorge spontanea: perché far pagare 1,50 euro al visitatore?
Non siamo di fronte a un costo inevitabile, ma a una scelta. Una scelta che scarica sul pubblico un onere che, nel 2025, è diventato marginale, se non addirittura nullo. Soprattutto per eventi culturali, spesso sostenuti da enti pubblici o fondazioni, che dovrebbero favorire l’accesso e non scoraggiarlo. Il risultato è un messaggio chiaro, anche se probabilmente involontario: pagare con la carta è un problema tuo. Peccato che sia esattamente l’opposto di ciò che lo Stato, le banche e persino il buon senso stanno cercando di affermare da anni. Il POS non è un lusso, è la normalità. E non può diventare una penalizzazione. C’è poi un altro aspetto, tutt’altro che secondario: la trasparenza. Se il biglietto costa 10 euro, il visitatore si aspetta di pagare 10 euro. Tutto il resto assomiglia più a un balzello che a una commissione tecnica. Un balzello che colpisce proprio chi sceglie il metodo di pagamento più tracciabile e più sicuro. Caravaggio dipingeva la realtà con crudezza, senza sconti. Qui, però, la crudezza non è artistica: è amministrativa. E stona parecchio che, davanti a capolavori immortali, il conto finale venga appesantito da una pratica che sa di passato, non di modernità. La cultura dovrebbe illuminare, non confondere. E di certo non dovrebbe costare di più solo perché si paga con una carta.

