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parolisi6 L'ex caporalmaggiore dell'Esercito, Salvatore Parolisi, è l'uomo che con 35 coltellate, "con dolo d'impeto" ma senza crudeltà, ha ucciso la moglie Melania Rea il pomeriggio del 18 aprile 2011, perché era finito in un "imbuto senza uscita" stretto tra le pressioni della sua amante e commilitona e le bugie a Melania. Lo ha stabilito definitivamente la Cassazione che ha rinviato gli atti di questo processo alla Corte d'assise d'appello di Perugia che dovrà ricalcolare, un po' al ribasso, la condanna a trent'anni di reclusione inflitta all'omicida dalla Corte d'appello dell'Aquila il 30 settembre 2013. In primo grado, con rito abbreviato condizionato, il gup gli aveva dato trent'anni. Il verdetto è stato emesso dalla prima sezione penale della suprema corte dopo circa tre ore di camera di consiglio, durante le quali sono stati esaminati anche un'altra quindicina di processi. "Parolisi è stato ritenuto definitivamente colpevole dalla Cassazione che ci ha dato ragione: volevamo che fosse individuato l'assassino di Melania, e l'assassino ora c'è. La quantità della pena non ci interessa, è un fatto secondario in questa drammatica vicenda", ha commentato l'avvocato Mauro Gionni, difensore di parte civile in nome dei familiari della vittima. Il padre, la sorella, il fratello con sua moglie, e uno zio di Melania hanno seguito tutta l'udienza in Cassazione e hanno atteso la sentenza. Per Michele Rea, il fratello di Melania, anche lui militare, "la condanna di Parolisi è ormai un fatto definitivo, è lui l'assassino che ha trucidato mia sorella e ha reso orfana Vittoria". "Non siamo soddisfatti perché in una tragedia come questa non si può mai ottenere soddisfazione, ma certamente - ha proseguito Michele Rea - per i prossimi 14-16 anni Salvatore rimarrà in carcere". Per il 'risultato' ottenuto in Cassazione, l'avvocato Walter Biscotti, che ha difeso Parolisi insieme a Titta Madia, ha invece detto di provare "soddisfazione" perché "adesso la condanna a trent'anni di reclusione non esiste più e si farà un nuovo processo seppure limitatamente all'annullamento dell'aggravante della crudeltà deciso dalla Cassazione". Nella sua requisitoria, il sostituto procuratore generale della Cassazione Maria Giuseppina Fodaroni - parlando per circa un'ora e mezza dinnanzi agli 'ermellini' - aveva difeso a spada tratta la sentenza d'appello definendola "senza sbavature". Per il pg, questo processo indiziario è caratterizzato da una "folta messe di indizi che vanno tutti nella direzione della colpevolezza di Parolisi con riguardo alla prova logica, scientifica, alle testimonianza e alla disamina del suo comportamento". La verità dell'omicidio, così come la ha riassunta Fodaroni, è che Parolisi "ha ucciso la moglie per l'intensificarsi delle pressioni alle quali era sottoposto da parte della sua amante e dalla moglie". Alla 'sua' recluta, infatti, Parolisi aveva promesso che per le imminenti vacanze di Pasqua sarebbe andato con lei a Positano per conoscere i suoi genitori: alla ragazza, della quale era l'addestratore in caserma, Parolisi aveva 'garantito' di aver formalizzato la separazione da Melania. Alla moglie, invece, aveva promesso che a Pasqua sarebbero andati a Somma Vesuviana dai familiari di Melania. Da questo "imbuto", Parolisi ha cercato di uscire accoltellando per 35 volte la moglie fino a farla morire dissanguata dopo averla lasciata agonizzante nel bosco teramano di Ripe di Civitella. Ha poi infierito sul corpo della vittima disegnando una svastica e una gabbia a maglie larghe per far ricadere la responsabilità dell'omicidio su altre persone, probabilmente sul gestore di un chiosco che si trovava vicino al luogo del delitto. L'uomo era noto per avere "simpatie politiche" di destra. Tolta l'aggravante della crudeltà, la Cassazione ha però confermato quella di aver agito su una persona in condizioni di "minorata difesa". Melania, ha ricordato il pg, "era totalmente inerme quando fu colpita di spalle e non si poteva muovere perché aveva i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Ha cercato di muoversi ma non ha avuto scampo". Parolisi è da tempo in prigione.