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marcozziLe piccole e medie imprese, fulcro dello sviluppo sociale, rappresentate dall’API Teramo aderente a CONFAPI nazionale, attendevano misure strutturali destinate a rilanciare lavoro e produttività e a stabilizzare i contratti.
Invece, ci troviamo di fronte a un decreto che si muove nel senso contrario a quello di favorire l’occupazione, con il rischio di un proliferare dei contenziosi dovuto alla reintroduzione delle causali e di un incremento del costo del lavoro per effetto dell’aumento dei contributi a carico delle imprese.
L’impressione è che si sia voluto prendere in tutta fretta un provvedimento a effetto, ma senza prima approfondire problemi che andavano affrontati in altro modo.
Tutti gli imprenditori vorrebbero assumere a tempo indeterminato.
Tutti vorrebbero investire nella formazione dei lavoratori per farli crescere, per farli identificare nelle imprese in modo che queste diventino per loro come una seconda casa, ma non sempre è possibile
I provvedimenti presi per riformare i contratti a tempo determinato danno l'impressione di rispondere a un'idea del lavoro che non corrisponde alla realtà vissuta da chi il mercato del lavoro lo frequenta davvero.
La tutela attraverso l’irrigidimento indifferenziato delle regole che disciplinano l’avvio, lo sviluppo e l’interruzione dei rapporti di lavoro mal si concilia con un’economia che sperimenta frequenti alti e bassi, con imprese e interi territori inseriti in filiere globali del valore, obbligate a gestire fluttuazioni che si verificano in altre parti del globo, con attività e interi settori ad elevata stagionalità.
La risoluzione del problema occupazione non passa attraverso modifiche delle norme che regolano il rapporto del lavoro; forse questo, nelle condizioni economiche attuali, serve solo a fare notizia. In realtà ciò che oggi occorre, è la realizzazione di un piano di politiche industriali volto allo sviluppo delle aree manifatturiere, potenziando gli investimenti infrastrutturali che creino le condizioni di sviluppo in un coordinamento di risorse pubblico/privato.
In questa fase del ciclo economico, tipica del fenomeno carsico (la ripresa c’è per qualche mese, poi scompare per un po’, poi improvvisamente riappare), con gli attuali livelli di disoccupazione (rigorosamente asimmetrici per Regione, livelli di inquadramento, età anagrafica, profilo di competenze) e con il numero imbarazzante di Neet che ci assegna la maglia nera in Europa (i giovani tra i 18 e 24 anni che non hanno un lavoro né sono all'interno di un percorso di studi, nel 2017 in Italia erano il 25,7% a fronte di una media europea del 14,3%), la saggia mano pubblica deve farsi carico di due attività chiave:
• creare le condizioni per agevolare l’avvio di nuovi rapporti di lavoro, anche in condizioni di incertezza;
• definire un portafoglio di servizi per supportare le persone tra una esperienza professionale e l’altra.
In altre parole, al Decreto Dignità manca tutta la parte sulle politiche attive del lavoro (dall’orientamento, al riorientamento, alla formazione ricorrente), che sono la chiave di volta per ridurre per davvero la precarietà e per passare dalla tutela del (posti di) lavoro alla tutela della persona che lavora.
Non è una questione ideologica, ma pragmatica e contingente.
Forse si è perso tempo nel pensare ad un provvedimento che va solo a complicare la vita quotidiana delle imprese e non affrontando problemi più contingenti; la totale mancanza di controllo sul comportamento inqualificabile degli istituti di credito verso le aziende.
Vogliamo ricordare e ricordiamo a noi stessi che il lavoro dignitoso non è propriamente un concetto astratto e ideologico, ma l’obiettivo di un percorso concreto per garantire alle persone una vita buona, in linea con quello che dice l’art. 23 della dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto a eguale retribuzione per eguale lavoro. Ogni individuo che lavora ha diritto a una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana e integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”.

Teramo, li 11 luglio 2018


Il Presidente dell’API Teramo
Ing. Alfonso Marcozzi