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gianluca jacobiniLa Popolare di Bari sarebbe stata complice del fallimento delle società del gruppo imprenditoriale Fusillo di Noci, di fatto gestendo buona parte delle operazioni finanziarie che in un decennio hanno portato al crac.

Per gli ex amministratori dell'istituto di credito barese, già al centro della bufera giudiziaria che ne ha determinato il commissariamento, la nuova accusa è concorso in bancarotta fraudolenta. A soli due mesi dalla revoca dell'arresto nel procedimento sui falsi in bilancio della banca, l'ex condirettore Gianluca Jacobini è finito nuovamente ai domiciliari. Suo padre Marco, ex presidente dell'istituto, è stato raggiunto da un secondo provvedimento di interdizione. Con loro il Tribunale ha arrestato altre cinque persone, tra le quali l'imprenditore Giacomo Fusillo, scrive il Messaggero, e ha interdetto per dodici mesi il padre Vito, nei confronti del quale la misura cautelare è stata attenuata per aver collaborato e in parte confessato di aver falsificato bilanci, «pietre di scandalo» le definisce il gip, scaricando però la gran parte delle responsabilità sugli ex vertici della banca. Le indagini della GdF, coordinate dalla Procura di Bari, ripercorrono gli ultimi dieci anni di gestione della «galassia» delle società del gruppo Fusillo, tra cessioni di quote e immobili anche di pregio a società terze e fondi di investimento con sedi all'estero, in Lussemburgo e Gibilterra, sempre riconducibili a loro persone di fiducia. Il ruolo di etero-direzione della banca in queste operazioni, «nefandezze» le definisce il giudice nell'ordinanza di arresto, sarebbe consistito nel concedere continui sconfinamenti sui conti correnti e linee di credito per decine di milioni di euro. Secondo la Procura, le presunte operazioni illecite che hanno svuotato i patrimoni delle società Fimco e Maiora hanno portato «progressivamente alla edificazione di quella che possiamo apostrofare - scrivono gli inquirenti negli atti - come una gigantesca casa del debito costruita attraverso una miriade di sospette operazioni intercompany, quasi sempre artificiosamente sorrette da perizie di comodo, redatte da professionisti compiacenti nonché fraudolente segregazioni patrimoniali funzionali al continuo drenaggio di liquidità, sotto il cui peso si disgregavano le fondamenta» delle due aziende, entrambe fallite nel 2019, «lasciando sul campo qualcosa come 430 milioni di euro di debiti consolidati».

Tra le operazioni più opache la cessione di «Palazzo Trevi», in via delle Muratte a Roma, a due passi dalla famosa fontana di Trevi, di proprietà della società Fimco, che sarebbe stato venduto per 40 milioni di euro alla società Roma Trevi, scrive ancora Il Messaggero, dell'imprenditore fiorentino Salvatore Leggiero (tra gli arrestati) il quale, a sua volta, avrebbe ottenuto dall'istituto bancario barese un finanziamento di pari importo. Una compravendita a costo zero, dunque, che avrebbe consentito a Fusillo di «mettere al sicuro» i beni di valore delle società poi fallite, e alla banca di «ridurre la propria esposizione».