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editorialeOggi l’Abruzzo ha l’opportunità – e la responsabilità – di compiere un passo decisivo verso il riconoscimento pieno della dignità umana: approvare la legge regionale sul suicidio medicalmente assistito. Una proposta che nasce dal basso, attraverso l’iniziativa popolare, ed è già stata accolta in Toscana. Ora tocca a noi decidere se vogliamo essere una Regione che guarda al futuro, o se preferiamo restare immobili, nell’ambiguità e nella paura. Il dibattito sul fine vita non è semplice. Non potrebbe esserlo, perché parla della morte, e quindi della vita. Ma proprio per questo richiede coraggio, lucidità e compassione. Non si tratta di imporre un modello etico, né di affermare una verità assoluta. Si tratta, al contrario, di riconoscere che ogni persona, nella sofferenza estrema, ha il diritto di decidere quando e come porre fine al proprio calvario. Un diritto individuale, non un obbligo. Un’opzione, non una scorciatoia. La Corte costituzionale ha già aperto la strada nel 2019, stabilendo che, in determinate condizioni, è possibile accedere al suicidio assistito senza violare la legge. Eppure, nella pratica, tutto resta fermo: le procedure sono confuse, le Asl si nascondono dietro la mancanza di leggi regionali, e i malati vengono lasciati soli nel labirinto della burocrazia e del dolore.

È qui che entra in gioco la responsabilità della politica. Le Regioni possono e devono legiferare per dare attuazione concreta a quel diritto già riconosciuto dalla Consulta. Non farlo significa condannare i cittadini a una sofferenza inutile, a una tortura quotidiana nel nome di una morale che non può più essere imposta dallo Stato.

Dire sì alla legge sul fine vita significa restituire libertà a chi soffre, fiducia a chi assiste, umanità a una medicina spesso impotente. Non è una battaglia ideologica, ma civile. Non è un attacco alla vita, ma una difesa della dignità. La vera difesa della vita sta anche nella possibilità di lasciarla con consapevolezza e rispetto.

La politica abruzzese ha oggi una possibilità storica: non lasciare indietro chi non ha più voce, chi non può più lottare, ma chiede solo una scelta consapevole. E responsabile.

Siamo di fronte a una scelta che parla di compassione, libertà e maturità democratica. Ci auguriamo che il Consiglio regionale sappia ascoltare quella parte profonda e silenziosa del Paese che chiede solo una cosa: di poter decidere, fino alla fine.