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DDFBAD3C 01E4 4E83 B560 A6F64899B80ESe ne parla poco. Ed è un errore. Perché le foibe produssero odio, morte, distruzione, distruggendo un ambiente culturale e sociale di 2mila anni. E’ un errore perché la memoria di una Nazione si fonda proprio sul racconto dei singoli eventi, e le foibe tracciarono un solco indelebile in una parte importante del Paese. Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo 2004, vuole conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibeLa memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all'esodo è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate. Eppure oggi non soltanto c’è un rifiuto di una lettura condivisa ma addirittura assistiamo alla mancanza di rispetto anche di una memoria divisa. Un vero e proprio atto di monopolio della memoria. La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l'IstriaZara con la sua provincia, e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell'Italia.I massacri delle foibe sono una pagina di Storia che per molti anni l'Italia ha voluto dimenticare, fino a quando, quattordici anni fa, nel 2005, gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il Giorno del Ricordo, in memoria dei quasi ventimila italianitorturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.Come mai questa tragedia è stata confinata nel regno dell'oblio per quasi sessant'anni. Andiamo con ordine.Nel 1943, dopo tre anni di guerra, le cose si erano messe male per l'Italia. Il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento con la storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Ne erano seguiti lo scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre, lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia).Dove si trovano le principali foibe. Qui avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che avevano finalmente sconfitto i famigerati “ustascia” (i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic che si erano macchiati di crimini)La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell'intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un'italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali. Tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.Fino alla fine di aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi che avevano dominato Serbia, Croazia e Slovenia con il pugno di ferro dei loro ben noti sistemi (stragi, rappresaglie dieci a uno, paesi incendiati e distrutti).Ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai poteva più fermare gli uomini di Tito. Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila. In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto. Le uccisioni di italiani - nel periodo tra il 1943 e il 1947 - furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine, alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani.Come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, e l’istituzione del «Giorno del Ricordo».La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l'autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa. A poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subìre gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Leo Nodari