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Nello stesso istante in cui un decreto ministeriale stabilisce che non ci si possa avvicinare l’un l’altro, un centinaio di giovani e giovanissimi si accalcano al Portobello di Montesilvano, per vedere una simpatica ragazza che si definisce cantante, ma cantante non è, e per il momento è nota solo per un enorme e molliccio lato B. Se il suo cognome non fosse uno dei più noti e prestigiosi d’Italia, probabilmente svolgerebbe la sua attività di barista di un piccolo e penoso centro commerciale di periferia, e verrebbebullizzata da una gang di delinquentelli arrapati, per quel coso fuori misura, ogni volta che si gira per fare un caffè. Quindi buon per lei, meglio così. Nello stesso istante mi viene da piangere. Noi per i decerebrati che intonano “musica resto scompare”. Ma perché oramai è infinita la lista degli spettacoli veri, con artisti veri, con il marchio infame stampigliato sopra:“annullato”. La parola è giusta: annullato. Annullato il lavoro di mese in pochi istanti. Non c’è solo tanto lavoro sprecato, non c’è solo un’emozione che viene meno. C’è anche un giusto riconoscimento economico che viene perso, e non si recupererà. Perso. Mesi di lavoro. Per oltre 100mila persone che fanno questo di lavoro. Vivono di questo. Ma non penso all’artista ricco e famoso. Non penso ai “Modà,che hanno rinviato un tour di 20 date in autunno,e se ne andranno in vacanza in salento. Penso a chi fatica a fine mese, tira data su data, mese su mese, lavora per vivere, e se non lavora “non mangia”. Attori, musicisti, ballerini, registi, tecnici. Ma anche grafici, esperti di comunicazione. Ma anche commercianti di strumenti, scenografi,costumisti. Ma anche sarte e hostess, operatori di sicurezza, proprietari di strutture, hotel, ristoranti, pulmini, camion trasporti, teatri. Ma anche, se mi permettete, penso agli organizzatori che mettono su un tour data per data, teatro per teatro, colloquio su trattativa, promozione e ospitalità, viaggi e burocrazia. Mesi di lavoro, telefonate, incazzature, soddisfazioni, spostamenti, spese, anticipi, tra amministrazioni inconcludenti, assessori ignoranti e sponsor truffaldini. Mesi di lavoro che saltano per gli invisibiliche restano soli, senza paga, davanti un palco vuoto, a pensare come salvarsi. Se è possibile salvarsi. “Gli invisibili” sono più di 3000 persone. Vecchi e giovani. Che fanno questo per vivere. Come andranno avanti ? Lo so, la situazione che stiamo vivendo non ha precedenti, e bisogna trovare presto un modo per convivere, per adattarsi al buio, in attesa dell'uscita. ritrovando quel senso di comunità che questo Paese, anche nei giorni dell'infuriare del morbo, sembra scordarsi di avere avuto. E’ un impatto devastante. L’emergenza coronavirus nell’arco di una manciata di giorni ha colpito duro cinema e teatro, con all’orizzonte un futuro nero per migliaia di lavoratori, soprattutto i liberi professionisti rimasti senza impiego e senza tutele. A loro non pensa nessuno. Anche se la situazione dovesse tornare presto nella normalità ci vorranno mesi per risollevarsi. L’allarme coinvolge anche il mondo dello sport, uno dei settori con il più alto tasso di precari. Piscine, palestre, impianti e società fanno un massiccio utilizzo dei collaboratori sportivi, che in questi giorni a causa delle chiusure sono a casa senza stipendio. 300mila persone lavorano nel settore sport.  Quella intrapresa dal governo è una strada complessa, che avrà costi sociali enormi e che andrà spiegata alla popolazione. Sembrava, e continua a sembrare impossibile, che un virus a bassa letalità possa mandare in tilt il sistema glorioso della nuova era digitale, le potenzialità fantastiche dell'intelligenza artificiale, la convinzione universale che ormai agli umani niente è precluso, tranne il teletrasporto, per ora. E invece tutto si è inceppato, le borse sprofondano, le stime di crescita si afflosciano, crollano le prenotazioni aeree e decollano le disdette di tutto, dai viaggi agli eventi internazionali. Le teleconferenze hanno sostituito le riunioni, la distanza tra le persone (almeno un metro o, meglio, due) è diventata l'unità di misura della convivenza. Boh. In meno di due mesi, la pallina da golf con la corona ci ha rispediti in un altro evo, quello della precarietà e dell'incertezza. Un salto all'indietro così brusco da generare, comprensibilmente, sgomento e panico. In questa lacerazione globale, noi italiani stiamo pagando uno dei prezzi più alti. Molti paesi ci trattano da indesiderati, per contrappasso, come potenziali esportatori del male. Ci troviamo a fare i conti anche con una dissipazione del nostro valore di nazione, con lo spettro di una recessione rapidissima, sullo sfondo di un'economia già provata e potenzialmente esposta al collasso. Il nostro sistema sanitario nazionale ci è già arrivato, al collasso. A furia di tagli, abbiamo debilitato le nostre difese immunitarie, fino a renderle assolutamente inadeguate a fronteggiare la gestione ordinaria, figurarsi un ciclone come quello che si sta abbattendo su un Paese che ha,colpevolmente, deciso di ammainare una delle bandiere della propria Costituzione: il diritto alla salute per tutti i cittadini. Non potrà essere l'eroismo degli operatori impegnati allo sfinimento a contenere il danno. C'è un dovere superiore, il bene nazionale, che imporrebbe di sostenerli specie adesso, che il tunnel è ancora lungo e la loro esperienza, maturata in un campo e in un tempo improvviso, può fare la differenza. Se c'è un comune sentire italiano, questi sono i giorni per farlo emergere con fermezza . La nostra è una nazione ferita ma fiera. Ce la faremo.

Leo Nodari