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Impastatoleo9 maggio 1978 : mistero, vita, morte si intrecciano drammaticamente con la storia più nera dell’Italia degli anni settanta, segnata dalle stragi e dal terrorismo: alle prime luci dell’alba di quell'orribile martedì 9 maggio, otto ore prima del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro , il conducente del diretto Trapani-Palermo che sta per giungere alla stazione di Cinisi-Terrasini sente uno strano sussulto sotto il locomotore e ferma il convoglio. Scende e si accorge che in quel tratto di ferrovia che attraversa la campagna, per circa un metro le rotaie sono divelte dalle traversine. Il treno ha rischiato di deragliare. Il macchinista chiama i carabinieri che, perlustrano la zona, notano sopra quei binari,  sparsi tutt'intorno fino a una distanza di trecento metri, minuti brandelli di un corpo umano. Qualcuno all'una e mezza di notte è saltato in aria per una bomba (cinque chili di tritolo, si scoprirà più tardi) ma nessuno, nelle vicinanze, ha sentito niente. I poveri resti vengono raccolti e portati via dagli investigatori dentro otto sacchetti di plastica. Ma delle chiavi, un portafogli, una agenda e una penna sono depositati su una pietra. Intatti. Poco più in la. Intatti. Sarà facile scoprire dopo poche che quell’agenda intatta e quel corpo dilaniato appartengono a Giuseppe Impastato detto Peppino, giornalista e conduttore di Radio Aut, emittente di Cinisi. Il paese in cui abita il boss di Cosa Nostra, don Tano Badalamenti, che dopo molti anni risulterà direttamente coinvolto nell'inchiesta giudiziaria, oltre che sul traffico di droga tra la Sicilia e l’America denominata Pizza connection” .Peppino è un giovane di trent'anni che porta baffi, barba e capelli lunghi, un militante della sinistra, candidato alle elezioni comunali, un ribelle che il padre, mafioso, ha ripudiato. Volto shakespeariano e carattere donchisciottesco.

Uno che ai microfoni della radio, nella sua trasmissione 'Onda Pazza', non va tanto per il sottile nei confronti dei potenti, denunciando con sferzante ironia gli sporchi affari dei mafiosi siciliani e dei politici locali, che ritiene collusi. 

E’ bello, è significativo, che nella lista dei 10 personaggi storici proposti dal Ministero per le Politiche giovanili,per un approfondimento in vista degli esami di Stato, il suo nome sia stato scelto dal 26% dei giovani, secondo – anche se per poco - solo Federico Fellini, di cui sembra si parlerà all’esame nei 100 anni della sua nascita.

E’ significativo soprattutto perché, per molti anni, l’Italia neppure seppe della sua morte. Sono gli Anni di Piombo e l’Italia, sconvolta dalla violenza eversiva, ha paura: da 55 giorni il presidente della Dc è stato rapito dalle Brigate Rosse, il loro covo pare introvabile, si teme il peggio, si teme un colpo di Stato, e i cittadini, i vertici dello Stato, le forze dell’ordine hanno i nervi scoperti. Posti di blocco, pattugliamenti, perquisizioni domiciliari. C’è chi vede dappertutto i fantasmi con la stella a cinque punte. Il Tg 1 delle 13.30, parla di un fallito attentato o di un probabile suicidio. Ecco, il suicidio, la tesi che allora, sembrava la più plausibile, forse perché tranquillizzava e metteva d’accordo tutti. Tutti, tranne la coraggiosa mamma del defunto, Felicia Bartolottail fratello Giovanni , certi sin dall’inizio che si trattasse invece di un omicidio di matrice mafiosa. Qualche breve articolo e poi, del 'caso Impastato non si parlò più. L’assassinio dell’onorevole Moro e la cronaca delle indagini sull'affannosa ricerca dei suoi aguzzini, infatti, occuparono per diverse settimane ancora pagine e pagine di giornali e i notiziari Tv.

Solo il quotidiano di Palermo L’Ora , però, dando credito all'ipotesi avanzata dai familiari di Peppino Impastato, invitano gli inquirenti a seguire la pista del delitto di mafia. Dopodiché su questa morte ancora avvolta dal mistero calò pesante il silenzio dei mass media. La figura dell’attivista riemerse con gran clamore anche grazie a un film del 2000 di Marco Tullio Giordana, “ICento Passi” che sollecitò di fatto una attenzione, che fece riaprire il caso e associare al delitto lo stampo mafioso.Benchè figlio di Luigiun uomo legato alla cosca del paese, Peppino si batteva contro Cosa Nostra e ne denunciava i traffici dai microfoni della radio libera da lui fondata, con il fratello e un gruppo di amici. I boss, stanchi di vedere la loro autorità messa in ridicolo e il loro prestigio minacciato, ordinarono la morte di Impastato, che fu sequestrato, picchiato e poi lasciato tramortito sui binari ferroviari con addosso una bomba che esplose.

Una volta riaccesi i riflettori,parti linchiesta giudiziaria e i processi, susseguitisi negli anni a venire, tra depistaggi, errori e omissioni investigative, dichiarazioni di pentiti, fino all'epilogo, consumatosi tra il marzo del 2001 e l’aprile del 2002, con le condanne definitive per i mandanti dell’omicidio: trent’anni all'esponente della cosca di Cinisi, Vito Palazzolo, e l’ergastolo per Gaetano Badalamenti, quel Tano seduto, viso pallido esperto in lupara e traffico di eroina che Peppino sberleffò più volte nei suoi interventi alla radio.Nell’edificio rurale, dove fu eseguita lacondanna a morte di Impastato, nei pressi dell’aeroporto “Falcone e Borsellino”, il fondatore di Radio Aut venne colpito alla testa, tramortito e probabilmente subito ucciso, prima di essere trasportato sui binari della ferrovia vicina per simulare un’esplosione Questo casolare è diventato un bene pubblico e accessibile alla fruizione di tutti. Su un pezzo di legno grezzo appeso al muro c’è scritto: “Peppino Impastato assassinato dalla mafia” . Peppino Impastato rappresenta un simbolo della Sicilia onesta che ha combattuto, e deve continuare a combattere la criminalità mafiosa e il malaffare. Una figura che per i giovanicostituisce un esempio di denuncia e di coraggio. Le sue scelte di coerenza, le sue denunce da una piccola radio, i suoi 100 passi di sfida davanti al Paese muto, il suo coraggio portato all’estremo, il mistero dei depistaggi in un quadro fosco di misteri che avvolgono l’Italia di quegli anni, evidentemente ancora affascinano, soprattutto  le giovani generazioni. E mi sembra proprio un bel segno.

Leo Nodari