Sono passati 33 anni dalla prima edizione del Premio Borsellino, 3 dicembre 1992 nella sala della Camera di Commercio di Teramo. Le stragi avevano lasciato il sangue a terra da pochi mesi. Gli elicotteri della scorta di Antonino Caponnetto sorvolavano la città dal mattino. Teramo fu blindata. Eppure una fila lunghissima di persone pazientemente restò in attesa del giudice padre del pool antimafia di Palermo che aveva perso i suoi due figli. Sarà per questo che aid ogni commemorazione di Falcone e Borsellino, non posso fare a meno di pensare che oggi la grammatica comunicativa è la stessa di allora, se non peggiore: solo sui cadaveri gli italiani riescono a esprimere una solidarietà e un’empatia disinteressate.
Falcone e Borsellino che sfidarono e portarono la mafia in catene sui banchi del maxi processo, Falcone e Borsellino che chiusero dentro una gabbia i 400 mafiosi condannati, innovatori del diritto che davano una solidità tale alle loro inchieste da superare le più difficili delle prove, la verifica dibattimentale con magistrati spesso collusi, in vita furono considerati magistrati poco ortodossi. Odiati, ostacolati, disprezzati, esposti alla pubblica disapprovazione e isolati. Oggi il torto più imperdonabile che si possa fare alla memoria di Falcone e Borsellino è perpetrare la menzogna ripetuta a ogni incontro da qualche burocrate paludato tutto pantofole e minestrino, giacca e cravatta, che racconta di “due talenti riconosciuti”, che hanno lavorato con il sostegno dei colleghi e dell’opinione pubblica, E Cosa Nostra era lì a osservare il progressivo isolamento, ad aspettare il momento giusto per colpire.
Falcone prima e Borsellino poi sapevano di avere il destino segnato, eppure non si sottrassero alla morte. Ma dobbiamo leggere e interpretare il loro martirio sapendo che non era possibile fare marcia indietro dopo tutto il sangue versato. Erano morti colleghi magistrati, poliziotti. Nascondersi non si poteva. Cambiare vita era troppo tardi. E allo stesso tempo, pensare a Falcone e Borsellino come due uomini rassegnati alla morte significa non comprendere fino in fondo il valore del loro sacrificio. Volevano vivere. Ma furono costretti a difendere la verità del loro lavoro con il sacrificio. Volevano vivere ma senza trattative. Oggi sono in tanti ad aver preso il loro posto e possiamo veramente dire che “Gli uomini passano, le idee restano e camminano sulle gambe di altri uomini”.
Grazie al protagonismo di istituzioni sensibili, associazioni, giovani, e di appassionati educatori e testimoni la memoria della disumana sequela criminale delle stragi è iscritta con tratti forti nella storia della Repubblica e fa parte del nostro stesso senso civico. Io credo che la cosa più importante che si possa fare per onorare la loro memoria sia non abbassare la guardia, non dimenticare. Mai.
Sarà per questo che venerdi 24 ottobre alle ore 10,00 nell’Aula magna della scuola della guardia di finanza dell’Aquila tutta l’antimafia in maniera compatta sarà presente per la cerimonia di consegna del 33 Premio Borsellino. La cerimonia vedrà in prima fila la presenza di Manfredi Borsellino, figlio del giudice ucciso dalla mafia, l’on. Chiara Colosimo presidente della commissione parlamentare antimafia, il Prefetto Renato Cortese, l’uomo che arrestò Provenza e tanti altri, oggi Direttore Centrale delle Specialità della Polizia di Stato e Presidente del Premio Borsellino, e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila, David Mancini. E con loro Vittorio Rizzi, Direttore Generale del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza). Andrea De Gennaro, Comandante Generale della Guardia di Finanza, in prima linea nella lotta alla criminalità economica e al narcotraffico. Lamberto Giannini, Prefetto di Roma ed ex Capo della Polizia. Fabio Ciciliano, Capo della Protezione Civile e Commissario Straordinario di Governo. Roberto Massucci, Questore di Roma. Paolo Guido, Procuratore Capo della Repubblica di Bologna. Magistrato esperto che ha coordinato le indagini culminate nella cattura del boss Matteo Messina Denaro. Ilaria Calò, Sostituto Procuratore al Tribunale di Roma, è il magistrato che negli ultimi anni ha coordinato i più importanti procedimenti di competenza della direzione distrettuale antimafia romana. Mario Palazzi, Procuratore Capo della Repubblica di Viterbo. Magistrato antimafia di lungo corso, ha coordinato lo smantellamento del clan Spada di Ostia. Anna Maria Frustaci, Sostituto Procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Magistrato antimafia coraggiosa, protagonista del maxi-processo “Rinascita‑Scott” . Nella categoria cultura, premiato don Luigi Epicoco, sacerdote, filosofo e docente universitario. Attilio Bolzoni, Giornalista e scrittore, che ha raccontato per oltre 40 anni la mafia siciliana e la lotta dello Stato, seguendo da vicino le vicende di Falcone e Borsellino. Gaia Tortora, Vicedirettrice del TG La7 e conduttrice di Omnibus figlia di Enzo Tortora, . E con loro tanti altri che condividono l’idea del Premio di una antimafia che parta dal basso, che metta radici nelle scuole consapevoli che non occorrono eroismi: occorre, tenacia, passione per il bene comune. Occorre il coraggio più difficile e più necessario: quello di rispondere ogni giorno alla propria coscienza.
Leo Nodari

