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di ANTONIO D'AMORE L'intervista rilasciata oggi al centro, da Dodo Di Sabatino, è sconcertante. No, non che sia una novità, nella politica teramana (sono quasi sempre sconcertanti tutte le interviste di Paolo Gatti), ma quella di Di Sabatino sconcerta perché, per la prima volta, si assiste alla certificazione giornalistico-politica di quello che è l'elemento primo, fondante, di tutta la cosa pubblica teramana: la poltrona. Lo sapevamo, per carità, non fingiamoci verginelli: la poltrona "E'" l'elemento principale di ogni azione, manifesta o segreta, di tutta l'attività pubblica o parapubblica locale. Vuole la poltrona in giunta il politico di fama, per occupare il potere; vuole la poltrona in regione l'ex assessore, per dimostrare ai suoi fan che non è politicamente morto (e perché uno stipendio, è sempre uno stipendio); vuole la poltrona in Parlamento l'ex assessore regionale, perché sente che gli spetti per diritto divino; vuole la poltrona in Regione il Sindaco, perché non saprebbe più vivere senza aver qualcosa da dire alle telecamere. Sul gonfalone di Teramo non c'è più "A lo parlare agi mesura", ma "A la poltrona agi premura". Ma torniamo a Dodo, e alla sua sconcertante intervista al Centro, un vero distillato di democristianeria datata, in salsa di veterospartizioni da Prima Repubblica. Che dice Dodo? E' semplice, e non va neanche intuito: «Abbiamo fatto la nostra parte per la riorganizzazione della squadra di governo, mi sembra evidente che siamo gli azionisti di maggioranza di questa amministrazione senza avere membri nel cda del Comune. Ora però laddove ci sono dividendi, non vedo perché l'azionista di maggioranza non debba beneficiarne e rinunciare a una persona degna in un cda come Di Lucanardo alla presidenza del Ruzzo». Chiaro, no? Tradotto: "o gioca chi dico io, o mi riprendo il pallone". Con una caduta di stile, testimonianza evidente dell'aver finalmente intuito come, dall'essere stato all'inizio della crisi comunale il possibile prossimo candidato sindaco, Dodo si è ritrovato alla fine stampella di una maggioranza che non c'è più, il leader di Teramo soprattutto cerca di placare i suoi dimostrando, col fare del capo, che può battere i pugni sul tavolo e ottenere la poltrona del Ruzzo. Una poltrona. Di questo si parla. Solo di una poltrona. Non dei problemi della città. Non dei progetti per il rilancio. Non del futuro di questo borgo sempre più periferico e sempre meno vivibile, ma di una poltrona. Per Di Lucanardo. Il resto, non conta. Quello che conta è che «Di Lucanardo è persona apprezzata da diversi sindaci della Vibrata ma anche della montagna. Non possiamo pensare di restare in questa maggioranza senza poter dire la nostra e di certo non ci conviene rimanere per condividere solo le perdite» NON CI CONVIENE? La convenienza, caro Di Sabatino, non è categoria della politica. Non in quella che dovrebbe essere, oggi, la politica teramana, dopo che il gioco delle convenienze l'ha resa quella che è, facendo scempio della città. Non è di convenienze che dovreste permettervi di parlare, a meno che non sia delle "nostre" convenienze, di noi cittadini, "gratificati" dall'avervi quale squadra di governo. A voi non conviene "rimanere per condividere solo le perdite", già, conviene rimanere quando c'è da prendere qualcosa, quando c'è una poltrona da occupare, un nicchia di potere da gestire. Una poltrona, era questa la ragione vera, profonda, del "rimpasto", del "ripensare" la città. del "cambiare" gli schemi. Una poltrona. Al Ruzzo. Strategicamente importante...in una città che fa acqua da tutte le parti. Stupiti dal tono dell'intervista, del tutto fuori dal tempo e dalla logica politica attuale, imprevedibile per una persona come Di Sabatino, sempre ben più attento alle esternazioni, abbiamo mandato un whatsapp a Dodo, il quale ha risposto senza timori "Secondo me è un'ottima intervista" e poi, quasi sentenziando "unicuique suum"...che sta per "a ciascuno il suo". Vogliamo la poltrona, amen. Dubito che nell'accezione cristiana...ci si riferisse alla spartizione delle poltrone...magari in quella democristiana, è più probabile. Qualcuno, dovrebbe avere il coraggio di dire a Dodo che la Dc non c'è più, che la Prima Repubblica è finita, e che la logica delle poltrone ha fatto di Teramo una città nella quale è sempre meno piacevole vivere. Ma voi, fate finta di non vederlo. Non vi...conviene. Mi piace ricordare come, nella testata dell'Osservatore Romano, da sempre all' unicuique faccia eco il "non prevalebunt". Non prevarranno.