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Il film di Luhrmann quindi si concentra per 2 ore e 39 minuti sulla figura del famigerato Colonnello Tom Parker, un oscuro "olandese volante" assunto alla storia dell'umanità solo per il fatto di essere stato il manager deus ex machina di Elvis Presley, causa di tutto il successo economico del cantante – di cui intascava il 50% esentasse, milioni di dollari che poi ingoiavano i casinò di Las Vegas direttamente dalle sue tasche: Parker è morto povero e alcolizzato nella più profonda disperazione umana –, non certo di quello artistico, e della sua rovina.

Ma ritengo che il solo e unico responsabile della sorte di Elvis, succhiato a vivo da decine di sfruttatori, e della sua bontà, e della sua generosità, e della sua ingenuità - era sicuramente un uomo immaturo –, è stato Vernon Elvis Presley, suo padre, che non lo ha saputo proteggere, soprattutto dopo la morte di Gladys, la madre cui era tanto, morbosamente legato, avvenuta il 14 agosto del 1958, all'età di 45 anni, quando il figlio era sotto la leva in Germania, nella base americana di  Friedberg, vicino Francoforte: la Germania è probabilmente, grazie a questo evento, il paese fuori dagli Stati Uniti d'America dove Elvis è più amato, infatti a Dusseldorf c'è un museo a lui dedicato che è il più grande dopo Graceland, che ebbi modo di visitare nel novembre del 2012.



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Ma tornando al film di Luhrmann, tralasciando le inevitabili inesattezze filologiche – chiariamo subito che Tom Parker è il più grande impresario di tutti i tempi perché Elvis Presley è il più grande talento di ogni tempo, un genio assoluto, un perfezionista, il più formidabile degli arrangiatori, la migliore voce di sempre, l'interprete per eccellenza; Tom Parker è il più grande impresario di tutti i tempi perché Elvis Presley ha inventato il Rock 'n' Roll, che è la più grande invenzione dell'uomo, e tutta l'iconografia, il clamore della Rock Star: era Elvis che curava ogni aspetto del suo look disegnandosi persino i vestiti, e lo ha fatto da subito, già a 19, come quando decise di tingersi i capelli, lui che era caucasico castano chiaro, riprendendo il famoso ciuffo e le basette del suo idolo, l'attore Tony Curtis, perché Elvis ha sognato sin da bambino di fare l'attore ma alla fine si convinse che Dio gli avesse dato il dono della voce per rendere felice la gente, e così fece, accorgendosi per primo dell'adolescenza, ragazzi di cui prima dell'avvento del Rock 'n' Roll nessuno si era mai accorto essendo allora la musica un passatempo principalmente da adulti, fatta nelle sale concerto o nei club d’America dal Jazz delle Big Band, dai quartetti e dai crooner; Tom Parker è il più grande impresario di tutti i tempi perché Elvis Presley ha inventato il Rock 'n' Roll agli albori dell'era consumistica che, dagli Stati Uniti d'America, ha conquistato tutto il mondo occidentale fino ai giorni nostri –, promette bene per i primi 20 minuti, dove a suo modo sa inquadrare la Tupelo e la Memphis degli anni '50, la musica del momento, i colori, lo stato sociale, le tensioni razziali, per poi mancare totalmente il soggetto, che non avrebbe dovuto essere Tom Parker ma Elvis Presley, finendo per mettere insieme un collage in sequenza di esibizioni del cantante senza approfondire i personaggi principali della grandiosa tragica irripetibile storia dell'uomo più amato di ogni tempo, facendo così un torto imperdonabile all'uomo – fragilissimo – e all'artista offrendoci un ritratto macchiettistico, da caricatura di Elvis, che non era affatto la marionetta rimbambita  che traspare dal racconto che ne fa il regista australiano ma una mente attenta a ogni aspetto artistico delle sue performance, ad ogni piccola sfumatura che univa la sua voce alla musica, e le sue canzoni al suo adorante pubblico: Elvis, quando era a Greaceland, non c'era un pomeriggio che non uscisse fuori a salutare i suoi ammiratori, cui sapeva di dovere tutto, per i quali sentiva di non doversi mai fermare di cantare.



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Elvis non si sentiva affatto prigioniero di Tom Parker, che considerava davvero come un secondo padre, di cui aveva una immensa, forse esagerata fiducia, e non ha mai pensato di andare in Europa, con o senza Parker, pur avendo avuto fino all'ultimo giorno della sua tragica vita offerte milionarie per una tournée europea: per Elvis, che si preoccupava solo di preparare i suoi spettacoli e di registrare i suoi dischi al meglio – era il primo cui venivano proposte le innovazioni tecnologiche in sala di registrazione –, Tom Parker era il miglior manager che potesse avere, e che tutto quello che faceva Il Colonnello era solo per il suo bene, anche il fatto di caricare tutte le tasse sui suoi guadagni per così poi prendersi il 50% netto in consulenza: Elvis non aveva la benché minima cognizione del danaro e dei suoi propri guadagni, per questo non ha messo mai in dubbio, neanche per un attimo, la bontà delle azioni di Parker.

Elvis Presley era prigioniero solamente della sua antica povertà, sua unica nemica, sua propria ossessione, per questo si buttava a capofitto nei suoi ciclici tour sold-out in lungo e in largo per gli Stati Uniti d'America: Elvis non aveva proprio tempo di andare in Europa perché aveva concerti su concerti da fare per far fronte alle sue spese e anche a quelle delle decine di persone che aveva accanto – di cui aveva lui bisogno di contornarsi, soprattutto la notte dopo i concerti, perché non voleva rimanere solo, perché fin da bambino ha avuto paura del buio, di dormire quando fuori era buio, notti che passava a cantare al pianoforte costringendo i suoi amici, quelli di cui si preoccupava anche economicamente, a stargli vicino, a non lasciarlo mai solo la notte, che le cronache dell’epoca identificavano falsamente, scandalisticamente come la Memphis Mafia, ma che non erano altro che suoi compagni d’infanzia, gente cui voleva molto bene, come Charlie Hodge, che voleva sempre al suo fianco ovunque andasse, soprattutto durante le sue esibizioni, fino all’ultimo suo concerto in terra, anche solo per passargli un asciugamano o un bicchiere d’acqua o per reggergli il microfono (vedi link: https://youtu.be/gfnZbjFPSrU )–; Elvis cantava per tenere lontana la povertà dal suo orizzonte; Elvis viveva nel terrore di ritornare povero, e non faceva altro che coprirsi di oggetti costosissimi per nascondersi alla Povertà: l'8 gennaio del 1935 nacque in una baracca di East Tupelo, Mississippi, in mezzo a un villaggio di negroes, ancora in piena segregazione razziale – il Civil Right Act, cioè l’abrogazione dell’apartheid negli Stati Uniti d’America, arriverà solo nel 1964, sotto la Presidenza Johnson –, dove mancava persino l'acqua corrente.

Buz Luhrmann ha fallito irreparabilmente il suo film perché non ha capito questo, cioè che il vero Elvis non era l'irripetibile interprete che è stato sul palcoscenico ma quello dietro le quinte, un uomo struggente, fragilissimo ma infinitamente buono, che nessuno ha saputo ancora raccontare.

Elvis non ha mai preso droghe ed era astemio: bevve un bicchiere di champagne quando era militare in Germania durante un galà di ufficiali delle Forse Armate degli Stati Uniti d’America dove fu invitato a partecipare e dove conobbe Priscilla, figlia adottiva di Paul Beaulieu, ufficiale e pilota dell’aereonautica militare statunitense di stanza in Germania appunto. Si nutriva di latte e sandwich al burro di arachidi. L'unica volta che provò uno spinello gli fece talmente male che non ne fumò mai più, prendendo spavento di qualunque droga.

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I suoi problemi di insonnia iniziarono dopo il servizio militare in Germania, dove per le manovre notturne ai soldati era somministrata della benzedrina, perché non dormissero – lo stesso farmaco che prese Jack Kerouac per completare in una sola sessione la prima stesura di On The Road –; e da lì iniziò un uso smodato, mortale di psicofarmaci e antidolorifici sotto valutata prescrizione medica: Elvis era tormentato da persistenti dolori fisici, e i medici che lo avevano in cura – in particolare il suo medico personale, George Constantine Nichopoulos –, invece di tutelare la sua salute, ne hanno causato la morte: "Ormai prendo pillole per dormire e pillole per svegliarmi." ebbe a dire nel suo periodo più buio, poco prima della sua morte.

Solo Peter Guralnick ha saputo rendere giustizia alla vita dal vero di Elvis Presley, uomo e artista, nella sua monumentale biografia – due tomi che superano complessivamente le 1500 pagine, ELVIS: L'ultimo treno per Memphis, del 1994, dove racconta i primi anni della sua vita e gli esordi dell'artista, ed ELVIS: Amore senza freni, del 1999, dove riferisce invece degli anni passati a Hollywood e del suo ritorno ai concerti, sempre sold-out, e della sua fine, pubblicati entrambi in Italia dalla Baldini Castoldi Dalai nel 2004 –; soggetto quello di Elvis delicatissimo da trattare e che mai fino ad ora era approdato sul grande schermo: i film fatti prima di adesso sono tutti prodotti per la televisione, senza infamia e senza lode, tra i quali spicca un Elvis, il re del rock per la regia di John Carpenter, del 1979, che vede nella parte di Elvis Kurt Russell.

Elvis, negli Stati Uniti d'America, e non solo, è molto di più di un cantante, della Rock Star che è stato, perché rappresenta proprio l'anima del sogno americano, Il Figlio d'America: basti pensare che Greaceland, oggi sito museale, riconosciuto ufficialmente come Monumento Storico Nazionale nel 2006, è il luogo più visitato del Paese dopo la Casa Bianca.

Ecco, nel film di Luhrmann, dove si attende, anche scorrevolmente – nonostante la colonna sonora sia un autentico disastro: neanche le canzoni di Elvis il regista è stato in grado di montare nel film –, per 2 ore e 39 minuti che accada qualcosa che però non succederà mai, manca tutto questo, tutto quello che Elvis ha rappresentato e rappresenta per la Storia degli Stati Uniti d'America e per la Storia della musica, resoconto affidato solo a delle banali didascalie oro a fine film che aprono i titoli di coda.

Elvis Presley è morto a Graceland collassando sul water del bagno annesso alla sua camera da letto il 16 agosto del 1977 in procinto di partire per un nuovo tour, soffocato dal suo stesso vomito; e della sua morte, causata dall'eccesso di psicofarmaci e antidolorifici, chi viveva con lui si accorse solo dopo un paio d’ore: quella mattina era entrato in bagno portando con sé un libro sulla sacra Sindone di Torino. E oggi di Elvis ne è stata assassinata pure la memoria con questo mediocre film di Buz Luhrmann.

Buz, Elvis there is not in your movie; Elvis has left the movie and the building.



MASSIMO RIDOLFI



SCHEDA FILM
Data di uscita:22 giugno 2022
Genere: Biografico, Musicale
Anno: 2022
Regia: Baz Luhrmann
Attori: Austin Butler, Tom Hanks, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Olivia DeJonge, Luke Bracey, David Wenham, Kelvin Harrison Jr., Xavier Samuel, Kodi Smit-McPhee, Dacre Montgomery, Leon Ford, Kate Mulvany, Jay Chaydon, Charles Grounds, Josh McConville
Paese: USA, Australia
Durata: 159 min
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Sceneggiatura: Sam Bromell, Baz Luhrmann, Craig Pearce, Jeremy Doner
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Matt Villa, Jonathan Redmond
Produzione: Bazmark Films, Roadshow Entertainment, The Jackal Group, Warner Bros., Whalerock Industries

Ph.: Locandina del film.
Ph. 2: Vernon Elvis Presley e suo figlio Elvis durante il suo ultimo tour, 1977.
Pn. 3: Tom Parker e Elvis Presley durante la pausa delle riprese di un film a Hollywood, 1969.